A che servono questi quattrini @ Teatro Parioli – Roma

Al Teatro Parioli di Roma è in scena un grande classico: A che servono questi quattrini, la commedia scritta da Armando Curcio e messa per la prima volta in scena nel 1940 dalla compagnia dei De Filippo, che ottenne un clamoroso successo di pubblico fin dalle prime rappresentazioni.

Protagonista della vicenda è il marchese Eduardo Parascandolo, detto il Professore, figura dal passato misterioso e dai modi borghesi, che trasmette ai suoi molteplici e sempliciotti seguaci le sue teorie filosofiche, bizzarre e in controtendenza. Racconta di aver dilapidato tutti i suoi averi per non aver dedicato agli affari alcun interesse e si vanta del suo quotidiano dolce far niente, convinto che i soldi siano assolutamente inutili e, anzi, una malattia da curare attraverso contemplazione e riposo. Il lavoro per accumulare ricchezze è una perdita di tempo, che andrebbe utilizzato per pensare e per godersi la vita. E di questo ha convinto anche Vincenzino, un povero spiantato, ricco solo di entusiasmo e di ingegnuità, che vive insieme alla zia e che rappresenta una prefetta occasione per il Marchese di dimostrare le sue teorie. Seguendo i suggerimenti del Professore e per la disperazione della zia, Vincenzino ha lasciato il lavoro e passa il suo tempo a pensare insieme all’astuto Professore, capendo ben poco di quello che il Professore cerca di trasmettere e sognando di sposare la bella Rachelina, sorella di Ferdinando De Rosa, dedito al gioco e naturalmente contrario a un’unione tra i due. Proprio per dimostrare la correttezza delle sue teorie, decisamente stravaganti, il Professore offre al povero Vincenzino la sua capacità speculativa e la sua astuzia e lo aiuta a capovolgere il suo destino di ultimo accompagnandolo in una rapidissima ascesa sociale fino ad ottenere posizione sociale e amore.

Il marchese, infatti, dimostrerà come non sia importante essere realmente ricchi, ma farlo sembrare. Ecco che architetta un piano machiavellico, facendo credere a Vincenzino e alla simpatica zia di aver ereditato una fortuna da un lontano parente e creando su questo un susseguirsi di eventi e malintesi. A questo punto, le persone cambiano immediatamente atteggiamento e tutto diventa possibile: lo spiantato Vincenzino acquisterà nuovo valore agli occhi dei suoi creditori come anche agli occhi di Rachelina, desiderosa di sposare un uomo che non conosce solo perché lo pensa ricco. Anche Vincenzino cambia: all’improvviso diventa più spavaldo, sceglie abiti migliori e, con il tocco magico del professore, diventa anche un impavido uomo d’affari. Quando la maschera dell’uomo ricco calerà, Vincenzino saprà tornare in sé con la semplicità che l’ha sempre contraddistinto.

Nello spettacolo messo in scena dalla Pirandelliana, per la regia di Andrea Renzi, sul palco ci si trova di fronte a un marchese Parascandolo interpretato da un notevole Nello Mascia. Le vesti del professore sembrano calzargli perfettamente, riesce a catturare da subito l’attenzione dello spettatore, non solo per la singolarità del suo ruolo ma anche per le espressioni di intesa con il pubblico e per la grande capacità di tenere la scena. Ci si accorge subito che è lui che muove le redini della vicenda, gestendo invenzioni e bugie e destreggiandosi tra un personaggio e l’altro, capace di far notare persino le sue assenze sul palco. Ogni personaggio brilla di luce propria: Valerio Santoro e Salvatore Caruso sanno dar vita ai migliori battibecchi e alle più divertenti rincorse tra Vincenzino e sua zia, mentre Ivano Schiavi padroneggia bene l’arricchito Ferdinando De Rosa, diventando ora un temibile antagonista ora un buon amico di Vincenzino. Alla farsa imbastita dal professore dà il suo contributo nell’ombra anche Fabrizio La Marca, ovvero il fedele discepolo.

La scenografia di Luigi Ferrigno è molto efficace, un pezzo di muro, un tavolo e poche sedie bastano per rappresentare l’indigenza iniziale per poi lasciare spazio ad oggetti diversi per l’elegante festa di fidanzamente finale, dove viene concluso il piano del Marchese e rivelato l’imbroglio.

Particolarmente d’impatto la silenziosa introduzione alla commedia con il professore che apre il sipario così come lo richiude alla fine, mentre il cambio di scenografia a sipario aperto affidato agli attori stessi ha il pregio di conferire maggiore spontaneità allo spettacolo e di riportare il pubblico un po’ indietro nel tempo.

Questi gli ingredienti, giusti e ben misurati, di uno spettacolo che vale la pena vedere, anche solo per ricordare a sé stessi che a volte per sfuggire alle tribolazioni del dio Denaro bisogna imparare a liberarsi dal suo potere.

In scena fino al 17 dicembre 2023.

Claudia Belli