American Buffalo @ Teatro Piccolo Eliseo – Roma

IMG_6096Interno del negozio d’un rigattiere, in una Napoli plumbea e sotto la costante minaccia d’un acquazzone: Don, il proprietario del negozio, riceve le visite del suo giovane protetto Roberto e dello stralunato O’ professore, un suo sfaccendato compagno di gioco.

Il maturo Don ha, infatti, due grandi passioni: le carte, il poker probabilmente, e gli States dove ha, forse vissuto, come si evince dal suo look squisitamente country USA e dall’uso continuo di frasi in slang americano e, coincidenza, ha venduto da pochi giorni un’ American Buffalo, ovvero una moneta da circa mezzo dollaro statunitense, ad un collezionista per una somma considerevole.

Incuriosito dall’atteggiamento del compratore, il rigattiere lo ha fatto pedinare da Roberto e sta programmando un furto in casa sua, facendovi penetrare il ragazzo durante l’assenza del collezionista.

Tuttavia, per caso O’ professore ascolta una conversazione tra Don e Roberto, riguardo i movimenti del malcapitato compratore, e, dopo essersi fatto rivelare il piano del furto dal rigattiere, insiste per compiere l’impresa al posto di Roberto, con conseguenze inaspettate che non vi anticipiamo.

American Buffalo è un testo teatrale scritto negli anni ’70 da David Mamet, drammaturgo di fama e prestigio mondiale, che, partendo dall’ideazione di un colpo criminale, mette in scena le meccaniche interrelazionali tra tre individui allo sbando.

Nell’adattamento a cura di Maurizio De Giovanni e diretto da Marco D’Amore, che interpreta O’ professore, l’azione si sposta dalla caotica Chicago, città natia di Mamet, a Napoli; dai ghetti della metropoli in cui regnò Al Capone, ai bassifondi partenopei tra botteghe che, come scatole cinesi, nascondono attività d’ogni tipo. Il dialetto napoletano si alterna allo slang americano e lo spostamento geografico della trama non intacca assolutamente il testo del drammaturgo, anzi ne coglie efficacemente lo spirito.

Quella di Mamet è un’umanità dedita al crimine, feroce ma non priva di sentimenti: Don prova un affetto paterno nei confronti di Roberto, uno smilzo ragazzetto con problemi di tossicodipendenza, ma al contempo è dominato da una cupidigia che lo fa manipolare da O’ professore, una creatura a sua volta schiava di emozioni e pensieri imprevedibili, bisogno d’attenzioni ma capace di azioni al limite della psicosi.

Questo è il fulcro della drammaturgia dell’autore ovvero la messa in scena della complessità delle interazioni tra gli esseri umani; la costante ambiguità dei legami e la natura egoistica dell’Uomo che s’alterna al  desiderio d’amore. La vicenda criminosa dà la possibilità di portare all’esasperazione questi temi e di scavare nella psiche dei protagonisti, mettendone a nudo luci ed ombre.

Marco D’Amore riesce nella non facile impresa di portare il testo in scena, grazie anche ad una squadra di collaboratori encomiabili: Carmine Guarino ha creato una scenografia che connota con dovizia di particolari la vicenda, attraverso l’ideazione di uno spazio fisico cupo ed ingombro di oggetti in cui si muovono i tre protagonisti; Laura Scimeni, la costumista di scena, ha caratterizzato benissimo il look dei personaggi, comunicandoci visivamente l’ossessione di Don per la cultura a stelle e strisce; così come le luci di Marco Ghidelli ed il lavoro di Raffaele Bassetti, come sound designer, contribuiscono a far immergere lo spettatore nella vicenda.

Tonino Taiuti, Don, e Vincenzo Nemolati, Roberto, si distinguono per le ottime interpretazioni mentre Marco D’Amore ha rinunciato al proprio fascinoso aspetto per calarsi nei panni di un disadatto dalla lunga chioma rada e sporca e balbuziente. La recitazione dei tre attori è visceralmente fisica ed appassionata, riuscendo nella costruzione dei personaggi che prendono lettaralmente vita, per oltre un’ora, sul palco.

Anteprima il 27 settembre come evento benefico a sostegno delle zone colpite dal recente terremoto, e prima nazionale presso il Piccolo Eliseo dal 28 settembre fino al 23 ottobre.

Roberto Cesano