Il caso della famiglia Coleman @ Teatro Argentina – Roma

In scena al Teatro Argentina, sino al 12 ottobre, lo spettacolo Il caso della famiglia Coleman scritto e diretto da Claudio Tolcachir; il regista e drammaturgo argentino autore dell’apprezzato e premiato Emilia. Emilia ha segnato l’inizio della collaborazione tra l’autore sudamericanoe il Teatro di Roma- Teatro Nazionale diretto da Antonio Calbi, il quale ha fortemente avviare tale partnership come pure dare ad una grande interprete come Giulia Lazzarini un giusto omaggio artistico. E La risposta degli addetti ai lavori e del pubblico è stata molto positiva, con riconoscimenti e sale piene.

Il caso della famiglia Coleman- la omisiòn de la familia Coleman- esordì in patria nel 2005, diventando un caso internazionale e portando notorietà e apprezzamenti  ad un giovane Tolcachir. L’opera contiene in sé gran parte della poetica del drammaturgo e di quella che diverrà la sua cifra stilistica: la presentazione di meccaniche relazionali apparentemente idilliache e briose, ma che celano forme di brutalità e di ferocia insite nella natura umana.

A Buenos Aires, in una casa un pò fatiscente e modesta vive la famiglia Coleman, o perlomeno un nucleo familiare in cui parte dei membri ha tale cognome, di proprietà dell’anziana Leonarda, madre della scanzonata Memé e nonna di Mario e i gemelli Gabi e Damiàn, avuti da differenti partner.

Invece la primogenita di Memè, Veronica, vive con il marito e i figli in un quartiere ricco ed è stata cresciuta dal padre, lontano da lei ma conun forte affetto per la nonna materna.

Leonarda è il centro di gravità, infatti, della famiglia sia moralmente chè economicamente; l’anziana sopperisce all’assoluta mancanza di senso del dovere della figlia, che ci viene presentata solo in un secondo tempo come la genitrice, apparendo inizialmente per carattere e modi come una sorella, molto simile a  Marito– Mario-, il suo secondogenito, avuto dallo stesso padre di Veronica, dalla personalità stralunata e infantile.

Per contrasto la piccola Gabi si comporta con maturità, rispetto alla madre e ai fratelli, mentre il suo gemello Damiàn è un arraffone, dedito ad alcool e furtarelli, piuttosto manesco.

Tuttavia i vari membri della famiglia sono legatissimi tra loro, al di là di meschinità caratteriali, problemi economici e l’assenza di una figura paterna.

La letizia iniziale che pare connotare il clima domestico, inizia a svanire con l’arrivo di Veronica, i cui figli sono oggetto costante delle battute di Marito riguardo il loro presunto status di nani, e che reca con sé molte tensioni: appare subito evidente che il sorriso, forzatamente ampio, della giovane donna, una bravissima e grottesca Inda Lavalle, celi profondo imbarazzo per la famiglia d’origine, in special modo per la madre e il fratello di sangue oltre che per la povertà in cui i Coleman versano.

A completare il cast abbiamo l’autista privato Hernàn, con il quale Veronica ha una strana intimità e il medico personale della ricca parente, molto curioso di scoprire i suoi retroscena familiari.

Forse, quindi, neppure l’agiata Veronica ha una vita priva di ombre e segreti.

Il caso della famiglia Coleman possiede qull’umorismo spietato e cinico degno di un soggetto di Age e Scarelli, diretto da Monicelli, Risi o Scola; Tolcachir propone costantemente siparietti comici, senza far sconti sul baratro interiore dei propri personaggi, la cui discesa negli inferi si sviluppa durante la rappresentazione in maniera quasi impercettibile, grazie all’umorismo presente in scena.

Egli, come drammaturgo, è certamente debitore verso l’ispirata stagione della commedia all’italiana del secondo ‘900 e i suoi protagonisti, però possiede un’originale capacità di messa in scena e un prorio stile ben definito.

La prova corale d’attori è ottima, con una sinergia interpretativa memorabile e ritmi recitativi che appartengono ad una cultura differente.

Lo spettacolo è interpretato dagli attori argentini della compagnia di Tolcachir, Timbre4, in lingua originale con sovratitoli, in italiano ed è evidente dall’inizio un’immediatezza fisica e vocale differente dalla recitazione italiana, che impreziosisce la piece.

Gli attori sono pervasi da un’elettricità fisica, una ferinità gestuale tipica delle popolazioni latinoamericane che caratterizza bene i vari membri della strampalata famiglia.

Un plauso in particolare a Cristina Maresca- Leonarda-, Miriam Odorico- Memè- e a Fernando Sala- Marito-, oltre che alla già nominata Inda Lavalle, per le loro prove interpretative brillanti e coinvolgenti.

La produzione teatrale di Tolcachir pare modesta e pregna di elementi, apparentemente, come le scenografie dei suoi spettacoli, tuttavia in tale semplicità si nasconde una visione poetica e quasi clownesca della condizione umana nel suo aspetto relazionale; un misto di tenerezza, violenza e ironia dai risultati imprevedibili e cruenti talvolta.

Lo spettatore esce dalla sala rimurginando per ore sul senso ultimo delle opere di Tolcachir, come se il regista riuscisse a toccare delle corde intime e nascoste dell’animo umano con mano lieve e sognante.

Nella sua scrittura è tutto molto istintivo ed intuitivo e , forse  anche in questo caso complice un testo recitato non in italiano, sta al pubblico afferrare alcuni aspetti non verbali; delle sfumature comunicate col corpo degli attori e con una composizione della scena sempre efficace.

Una drammaturgia quella di Tolcachir assolutamente da conoscere, grazie a questo riuscito spettacolo.

Roberto Cesano