Circo Equestre Sgueglia @ Teatro Argentina – Roma

imageIl Circo Equestre Sgueglia di Raffaele Viviani, con la regia dell’argentino Alfredo Arias, mette le sue tende al Teatro Argentina fino al 23 marzo. 

Il sipario si alza su una fila di uomini e donne vestiti di arancione, come strani monaci tibetani; al centro uno di loro, cerone bianco in volto, osserva il pubblico. Inizia la musica e la voce del narratore, in frac e cilindro, ci introduce il Circo Equestre Sgueglia, da qualche tempo stazionato in Piazza del Mercato a Napoli, con due carovane, un tendone e i suoi personaggi: Don Ciccio, il proprietario della baracca, con moglie e figlia, nella carovana di destra, e Roberto, il cavallerizzo, con sua moglie Zenobia, in quella di sinistra. Poi ci sono il clown Samuele, sua moglie, il toscano, la Donna Serpente e suo marito. Tutti fanno parte di questo circo sgangherato e dal dubbio successo di pubblico, che ogni sera ha incassi mediocri, pochi, solo per comprare forse dei maccheroni per pranzo. 

Il microcosmo è composto principalmente da intrecci inaspettati: la moglie del clown se la fa con il toscano, Roberto con Nicolina, la figlia del capo. Tradimenti su cui tutti ridono, scherzano, li raccontano con doppi sensi e fraintendimenti, per i quali a farla da padrone sono sempre le parole velenose della Donna Serpente. Infedeltà che tutti conoscono, tranne coloro che non vogliono vedere: Samuele e Zenobia. Quando la moglie del primo scappa con il suo amante, con la scusa della messa domenicale, il circo è in subbuglio ma lo spettacolo deve continuare e, di conseguenza, occorre fingere che tutto sia normale e nascondere al “cornuto” la verità. A farci le spese sarà suo malgrado anche Zenobia, costretta a sostituire la fuggitiva nel suo salto mortale. Il sipario si abbassa e ci si ritrova nella stessa piazza tre anni più tardi: l’allegria ha fatto posto al dramma personale e le ombre sono più evidenti. 

Alfredo Arias riesce con la sua regia impeccabile a trasformare un testo classico in un momento di teatro surreale, colorato, pieno di musica, quasi felliniano. Le musichette che intramezzano i dialoghi rimandano al mondo dei tabarin e dei cafè chantant di inizio secolo, all’avvento della radio (i microfoni finali), agli spettacoli itineranti che piacevano all’Italia provinciale e dai gusti più autentici. I bellissimi costumi, le luci e la scenografia (rispettivamente di Maurizio Millenotti, Pasquale Mari e Sergio Tramonti) sottolineano al meglio la tragicomica storia di questo gruppo strampalato di artisti circensi. Gli attori, “diretti” da un azzeccato Mauro Gioia, nei panni del narratore, sono perfetti nei loro ruoli; degni di una menzione speciale sono Massimiliano Gallo, che con maestria che passa dal registro comico a quello drammatico, Monica Nappo, un’ottima Zenobia, Gennaro Di Biase, divertente nei panni femminili di Bettina (scelta registica indovinata) e Tonino Taiuti in quelli di Bagonghi.

 Andrea Di Carlo