Clitennestra @ Teatro Argentina – Roma

I sovrani di Micene, Agamennone e Clitennestra, generarono tre figli: Ifigenia, Elettra ed Oreste.

Quando terribili venti distrussero le navi greche, pronte a salpare verso Troia per riscattare Elena, un oracolo stabilì che solo un sacrificio umano avrebbe placato il veto degli dei e permesso di partire; la scelta della vittima cadde su Ifigenia, la primogenita della coppia reale micenea.

Pertanto Agamennone fece trucidare la figlia per la ragion di stato, suscitando l’astio della consorte a cui era stata strappata l’amatissima prole e scatenò una vendetta sanguinosa; al ritorno da Troia, il trionfante sovrano fu assassinato da Clitennestra con la complicità del suo amante Egisto, cugino di Agamennone bramoso di vendetta quanto la regina per pregressi fatti di sangue.

Elettra ed Oreste fuono separati: la prima prima rimase a corte seppur relegata in miseria, a causa del disprezzo verso la madre e il suo compagno, il secondo fu bandito per impedire che a sua volta vendicasse l’omicidio del padre- cosa che poi fece, compiendo matricidio da adulto-.

La storia degli Atreidi, la stirpe di Agamennone ed Egisto,è costellata da crimini familiari da quando il padre del re di Micene fece mangiare i resti dei suoi figli al fratello, scatenando l’ira divina per un’empietà senza pari.

In mezzo a tale serie di eventi tragici ed orrendi, si staglia la figura di Clitennestra che nell‘Orestea di Eschilo è ritratta come una dark lady ante litteram feroce ed assetata di potere, moglie e madre talmente indegna da meritare la morte per mano del suo stesso figlio.

Eppure la regina ha subito il più devastante dei lutti, ovvero l’uccisione di una figlia per volere del marito, come auspicio per la riuscita di una guerra scaturità da un’infedeltà, quella di Elena verso il marito Menelao. Quale donna non proverebbe un odio sterminato verso il consorte in una situazione del genere?

Il testo di Colm Tòibìn, La casa dei nomi, è una rilettura del mito classico in cui l’autore affronta  la complessità della vicende degli Atreidi, partendo da Clitennestra e la sua voce interiore e da Elettra, madre e figlia separate da un baratro di dolore eppure speculari tra loro- come Clitennestra progetterà per anni l’assassinio del marito servendosi di Egisto, così Elettra desidererà veemente la morte della madre, spingendo Oreste a compier concretamente l’esecuzione.

Alla base delle motivazioni d’entrambe c’è la privazione coatta d’una persona cara: Ifigenia per mano di Agamennone, egli stesso per mano di Clitennestra.

La profondità del testo di Tòibìn è stata adattata da Roberto Andò nello spettacolo Clitennestra, in scena al Teatro Argentina sino al 21 gennaio, di cui è anche il regista.

Lo spettacolo,  barocco e straniante, è un tripudio di pathos e ferocia sostenuto da un cast attoriale straordinario e da musiche e scenografie, assolutamente, congeniali alla messa in scena.

Andò utilizza il Corpo dell’Attore, lo spazio scenico e la musica per condurre lo spettatore nell’Ade sulla scia di sangue e violenza che costellano le esistenze di Clitennestra, Agamennone e i loro figli, in un percorso alternato vittima/boia, che vale per quasi tutti i personaggi tranne Ifigenia, la grande assente sempre presente, l’agnello sacrificale immolato per ragioni non comprensibili al cuore.

Attraverso la voce narrante di Clitennestra ed Elettra si ripercorre, in un luogo sporco che ricorda un  mattatoio dove vivi e morti convivono, il destino di una casata ed il dolore che strazia anima e corpo dei suoi membri.

Lo zenith si raggiunge con la morte d’Ifigenia, punto di non ritorno che determina il fato di tutti i personaggi, con un effetto domino color cremisi come il sangue, dopo la tensione soffocante dei preparativi a tale atrocità e lo straniamento crescente della madre, che tardivamente si renderà conto d’aver condotto la figlia non nel luogo in cui avverrà il suo matrimonio, bensì l’immolazione per il bene pubblico.

Andò, attraverso la recitazione di Isabella Ragonese- Clitennestra- e Ivan Alovisio- Agamennone- sottolinea la differenza tra matriarcato e patriarcato: la madre lotterà come una leonessa per salvare la figlia, mentre il padre deciso a trionfare su Troia, sebbene non felice di tale atto, pragmaticamente abdicherà alla volontà di Stato e al vaticinio divino.

Ragione e sentimento si scontrano e nel mezzo spicca la prova magnifica della giovanissima Arianna Becheroni nei panni d’Ifigenia, d’un’intensità che ammutolisce il pubblico.

L’orrore e la tenerezza ferina di Clitennestra prendono vita sul palcoscenico grazie alla sapiente regia di Andò, che non si esime da scelte spiazzanti e suggestive sotto ogni aspetto formale e scenico.

Il risultato è uno dei migliori spettacoli dell’ultimo anno, dalla confezione impeccabile e di rara potenza visiva.

Isabella Ragonese si muove con ferina aggressività sul palco, ricordando una lama affilata come quella che sgozzerà la figlia ed il marito in differenti momenti; è la stessa Clitennestra un’arma letale ed implacabile, per nulla folle seppur consumata da un odio di ferocia inaudita.

In un mondo cupo, reso benissimo dalle soluzioni sceniche di Gianni Carluccio e dai suoni di Hubert Westkemper, la regina è tragicamente viva tra gli spettri e la Ragonese infonde al personaggio una fiamma che consuma, ma che sa anche riscaldare nei rari momenti con la figlia.

Ivan Alovisio, statuario ed algido Agammenone, presta bene la sua fisicità al sovrano, in cui la nudità ne esalta la potenza virile del potere e l’impotenza nel momento del suo omicidio.

Anita Serafini interpreta un’Elettra bordeline, tra isteria e consapevolezza, ancorata al ricordo della sorella amata mentre il suo legame con la madre s’infrange nella barbarie delle esecuzioni.

Una menzione alla splendida voce di Cristina Park- Cassandra- ed al resto del cast, assolutamente in parte in quest’ambizioso adattamento, in cui lievemente solo prologo ed epilogo scricchiolano regalando tuttavia una parte centrale di efferata bellezza.

Roberto Cesano