Tre attori, tanta rabbia, un vuoto incolmabile. Ecco cosa traspare dalla scena dello spettacolo teatrale Di notte che non c’è nessuno. Viene descritta l’esistenza di tre personaggi, interpretati da David Sebasti, Azzurra Antonacci e Gabriele Granito, legati tra loro da un unico fattor comune, l’assenza di ideali e il vuoto dell’esistenza stessa.
Una giovane ragazza che vive la sua quotidianità solo con semplici espedienti e che manifesta una falsa gelosia nei confronti del suo ragazzo. Quest’ultimo mercifica il suo corpo con altri uomini nell’intento di accumulare denaro, quasi come forma di riscatto futuro da un’esistenza malsana. L’ultimo personaggio, il più inquietante, è il giovane avvocato che si ritrova marito e padre e che cerca, attraverso le sue fughe notturne fatte di sesso con gli uomini, un’apparente forma di autopunizione per un’esistenza nella quale non si riconosce, ma in cui si ritrova improgionato a vivere come spettatore e protagonista nello stesso momento a causa dei scelte e casi fortuiti. Ma forse la vera natura omosessuale del giovane avvocato emerge timidamente già all’interno della scena, al di fuori del nucleo familiare e del suo ambiente lavorativo, dove viene quotidianamente sottoposto a trattamenti umilianti, pressioni e richieste che rischiano di farlo esplodere.
Quello che emerge in maniera forte, chiara, diretta è il forte desiderio e la reale necessità di emozioni pulite e profonde nell’ambito di esistenze che
sembrerebbero non appartenere a nessuno dei tre personaggi. Essi cercano disperatamente, ma nelle forme più sbagliate, un tentativo di riscatto da una vita che non vorrebbero vivere. Una vita nella quale si muovono in modo impacciato e grossolano, ritrovandosi sempre più avvolti in una stretta morsa, quasi fossero in una pozza di sabbie mobili che inevitabilmente li trascina verso il baratro.
Tutto questo, grazie alla magistrale regia di Luca De Bei, è di scena al Teatro Lo Spazio di Roma.
Roberto Baldelli