Siamo veramente liberi di decidere come orientare la nostra vita, oppure i condizionamenti sociali e ambientali tracciano per noi una strada da cui è difficile deviare?
Il teatro De’ Servi inaugura la nuova stagione con E vissero felici e colpevoli, spettacolo dolceamaro in tre atti che prova a riflettere sul tema del destino e del pregiudizio.
La commedia, scritta e interpretata da Bernardino De Bernardis e diretta da Marco Simeoli, sarà in scena dal 4 al 16 ottobre.
Siamo a Napoli nel 2007, in un riformatorio arriva un nuovo operatore che, nonostante gli ostacoli posti dal presuntuoso direttore, tenta di dare una speranza di riscatto ai ragazzi coinvolgendoli in un progetto teatrale: mettere in scena una versione rivisitata de Gli uccelli di Aristofane, ma non sarà facile gestire la diffidenza iniziale e la rabbia dei cinque giovani reclusi.
Salvatore Caiazzo, interpretato da Bernardino De Bernardis, un docente sognatore e ottimista, sostiene che le scelte che si fanno possano cambiare nel bene e nel male il nostro futuro.
Il suo ardore nasconde il senso di colpa per un episodio vissuto vent’anni prima quando, nel giorno della vittoria dello scudetto del Napoli, prese parte ad un tragico attentato dimostrativo.
Il direttore del riformatorio, interpretato da Stefano Masciarelli, è, al contrario dell’insegnante, un arrivista pieno di se’ ed incurante della sorte dei minorenni di cui dovrebbe occuparsi, concentrandosi invece sulle sue ambizioni politiche.
Carico di pregiudizi, è convinto che gli ospiti del posto abbiano il destino segnato dai loro trascorsi e dalla loro estrazione sociale, senza accorgersi delle crepe presenti nella sua stessa vita.
Nicola, Francesco Romano, è recluso nella struttura per l’omicidio di un passante, durante una rapina.
Aggressivo e violento, pensa di non avere scelta: un orfano di periferia può solo essere un delinquente ed obbedire alle leggi dei clan.
Gennaro, Mariano Viggiano,proviene da una famiglia di criminali ed è vittima di ritorsioni trasversali e abituato agli abusi, ma cela un animo poetico e sensibile.
Ciro, Salvatore Riggi, pensa spesso al suicidio mentre Gaetano, Francesco Piccirillo, ha un passato di tossicodipenza.
L’ultimo arrivato è Rosario, Giorgia Lunghi, una giovanissimo transgender che, cacciato di casa, ha visto la prostituzione come unica possibilità di sopravvivenza.
Sul palco riempiono la scena le sbarre mobili illuminate che dividono, minacciano, spaventano e partecipano all’intreccio come simbolo di difficoltà e colpa, per poi trasformarsi in alberi da cui poter spiccare il volo.
Da una parte, come in un mondo a sé, la scrivania del direttore: espressione della cieca burocrazia che paralizza ogni tentativo di redenzione.
L’uso del dialetto napoletano sottolinea la distanza dei ragazzi dal direttore, mentre li avvicina al professore.
Anche la musica di Pino Daniele evidenzia lo stato d’animo dei protagonisti: Io lo so che sono un errore, nella vita voglio vivere almeno un giorno da leone, e lo Stato questa volta non mi deve condannare.
Spettacolo intenso, ben diretto e ben interpretato, che reca un messaggio preciso:
una vita migliore è veramente possibile in questo mondo, in cui tutti in qualche modo siamo collegati e, in fondo, siamo un po’ tutti colpevoli di qualcosa.
La speranza però non ci deve abbandonare, perché sarà un giorno migliore domani.
Laura Pazzelli