Al Teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi è in scena Educazione Siberiana fino al 16 febbraio.
Uomini che si definiscono “criminali onesti”, uomini animati da una morale forte e antica, capace di brutalità ma anche di esprimere un codice etico iprivo di corruzione. Nel quartiere di Fiume Basso si concentrano i criminali espulsi dalla Siberia e la scuola della strada è l’unica che vale per Yuri e suo fratello Boris, che crescono quindi con un’educazione che passa attraverso la tradizione del loro quartiere e attraverso i “vecchi”, i criminali anziani ai quali la comunità riconosce il ruolo di capobranco. Sono loro, giorno dopo giorno, a trasmettere valori che paiono in conflitto con quelli criminali: l’amicizia, la lealtà, la condivisione dei beni. Tramandano anche la cultura dei tatuaggi, che raccontano la storia di chi li porta addosso e che ricoprono la pelle di Yuri, Boris e del loro cugino Mel. I tre ragazzi hanno il loro “vecchio”, il loro nonno Kuzja, ed hanno una madre che attende ogni giorno che gli si porti il cadavere di uno dei suoi ragazzi. Educazione siberiana è stato definito un moderno romanzo di formazione. Ma è anche una sintetica e lucida guida della Perestrojka, dell’arrivo del capitalismo, del caos che coinvolgerà l’impero sovietico per lungo tempo. Crollano le certezze di un tempo: a Fiume Basso non è più la comunità criminale locale che comanda, ma chi riesce prima degli altri a convogliare le tanto agognate libertà del capitalismo. Ed il capitalismo arriva in maniera selvaggia e violenta, in un quartiere dove era proprio la violenza che creava ordine durante la dittatura sovietica. Lo capisce anche Yuri, che preferisce tradire il suo branco per riuscire ad ottenere tutto ciò che il capitalismo può portare, quindi soldi, ma soprattutto libertà.
Yuri, interpretato da Francesco Di Leva, e Boris, interpretato da Adriano Pantaleo, rappresentano due estremi inconciliabili. Il primo incarna la continuità con un passato sublimato, il secondo la rottura con la tradizione e l’idealizzazione dell’altrui ricchezza. Lo scontro e la morte sono inevitabili, manca ad entrambi la capacità di osservare criticamente l’evolversi degli eventi storici e sociali pur conservando la propria identità. Due fratelli, due giovani uomini, esemplificazione dello strazio di una generazione che si trovò ad affrontare la crisi e la caduta dell’Unione Sovietica, generazione dilaniata tra utopistici malinconici e sognatori individualisti.
Una storia con significati complessi, che viene portata efficacemente in scena dai due protagonisti: grazie ad un lavoro a stretto contatto con Nicolai Lilin, autore del successo editoriale Educazione Siberiana, la compagnia NesT diretta da Giuseppe Miale di Mauro ha portato in scena uno spettacolo strutturato come una discesa nell’inferno dei dieci comandamenti dell’educazione degli Urka. La scenografia con un doppio livello è molto efficace e rende pienamente sia l’idea dell’oppressione sia quello della doppiezza del tradimento. La regia riesce a mantenere un costante livello di tensione, puntellato da secchi colpi di scena e sostenuto da una recitazione sentita ed intensa.
Redazione Teatro Italiano