Lo spettacolo Emilia, in scena presso il Teatro Argentina fino al 23 aprile, rappresenta molte cose contemporaneamente: è un omaggio al talento di Giulia Lazzarini, che ha scelto d’interpretare tale opera presentandone il soggetto al direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi; è la prima produzione italiana in cui ha lavorato Claudio Tolcachir, noto drammaturgo argentino, che ha adattato e diretto il proprio lavoro su commissione del Teatro di Roma- Teatro Nazionale; infine è un chiaro esempio di come il Teatro leghi generazioni di artisti lontane tra loro per età e latitudine geografica con risultati eccezionali.
In una imprecisata città, l’anziana Emilia è condotta da Walter nella nuova casa di questi, per conoscere la sua compagna, Carolina, e il figlio Leo. La donna è stata la tata di Walter e l’ha cresciuto fino alla maggiore età al posto dei genitori, piuttosto assenti nella vita del figlio.
Apparentemente, l’introverso e problematico bimbo è diventato un uomo felice con una bella famiglia, di cui è perdutamente innamorato, ed Emilia è felicissima d’aver ritrovato il figlio putativo, allietando tutti con aneddoti divertenti sul giovane Walter.
Ma nulla è come appare: né la felicità domestica dell’uomo né la vita della minuta Emilia, la quale si ritroverà a prender parte, suo malgrado, alle meccaniche distorte di tale nucleo familiare fino al triste epilogo.
Emilia è un’opera semplice e terrificante nella sua stratificata elaborazione, scritta da Claudio Tolcachir con un’attenzione all’interazione tra i personaggi e ai loro sentimenti ed emozioni maggiore rispetto allo sviluppo di una trama scarna e basica.
Il centro dello spettacolo è, infatti, l’arazzo emozionale che scaturisce dalla messa in scena delle relazioni umane e che colpisce, con la forza di un maglio, lo spettatore.
La vicenda in sé è persino imperfetta nella sua costruzione, con delle falle narrative lievi ma evidenti, tuttavia ciò non ne inficia la riuscita poiché essa risulta secondaria rispetto al quadro psicologico di Emilia e della famiglia di Walter.
L’anziana protagonista è una sorta di cuculo al contrario: se tale volatile lascia le proprie uova negli altrui nidi affinchè la sua prole sia nutrita da uccelli d’altre specie, Emilia ha accudito Walter come fosse il proprio bambino, arrivando a esser odiata dal suo vero figlio che l’accusa d’avergli riservato minori accortezze e affetto rispetto al primo.
Specularmente, lo stesso Walter ama e si prende cura di Leo, il quale è il figlio di primo letto di Carolina e Gabriel, l’affascinante ma inconcludente ex-marito della donna.
Tra Leo e il patrigno v’è una fortissima complicità anche fisica e cameratesca, da cui Carolina pare quasi esclusa, perduta com’è in una dimensione propria lontana e quasi distaccata dalla realtà circostante.
Come Emilia è stata per Walter un’affettuosa sostituta di entrambi i suoi genitori, che l’hanno messa alla porta senza troppi complimenti appena egli partì per l’università, così l’uomo lo è per il figliastro; Leo è una sorta di riflesso di Walter da giovane, iperattivo e solitario quanto lui da ragazzo.
Nel gioco di specchi e similitudini, Carolina ricalca la figura materna di Walter, perennemente chiusa nella propria camera da letto col mal di testa, trascorrendo la maggior parte del proprio tempo scenico per conto proprio o tentando di farlo, per sfuggire alle amorevoli e frenetiche attenzioni del compagno.
Questi raccordi tra i personaggi, tra passato e presente, ce li fa notare Emilia, testimone e cuore della quotidianità di questa strampalata famiglia.
La donna narra-perduta, come spesso sono gli anziani, nel piacere dei tempi andati- per tutta l’opera racconti dell’infanzia di Walter, permettendo allo spettatore di cogliere le molteplici sfumature di cui è disseminata la storia.
Ella rientra per puro caso nella vita di Walter e diviene il ponte tra i vari personaggi.
Emilia/Giulia Lazzarini si rivolge direttamente alla sala in differenti occasioni, tra cui nel prologo e nell’epilogo, sospesa in una sorta di limbo temporale rispetto all’azione scenica; i suoi gesti contenuti raccontano da subito il suo personaggio, ciò che prova.
Su un palscoscenico quadrato completamente cosparso di scatole e vestiti per sottolineare sia il recente trasloco, da parte di Walter e i suoi familiari, ché la precarietà emotiva presente in scena, la vecchia tata in pensione, il suo amato Walter, Carolina, Leo e Gabriel si muovono costretti in una spazialità angusta, evidente metafora di una condizione esistenziale claustrofobica.
La sinergia tra gli interpreti è straordinaria, grazie all’impegno profuso da ognuno di loro e all’ottima regia di Tolcachir, che è un valido direttore d’attori.
Il risultato è uno spettacolo pervarso da una potente alchimia interpretativa, capace di restituire appieno la potenza d’un intreccio intimista, fondato completamente sulle emozioni e sulla complessa drammaticità dei rapporti umani.
Sergio Romano- Walter-, Pia Lanciotti- Carolina-, Paolo Mazzarelli- Gabriel- e il giovanissimo Josafat Vagni- Leo- si distinguono per bravura interpretativa e padronanza nella gestione dei numerosi sottotesti testuali, presenti nell’opera di Tolcachir.
Giulia Lazzarini, protagonista indiscussa del Teatro Italiano grazie a una carriera straordinaria per longevità, interpretazioni e collaborazioni, da Strehler fino all’ultimo film di Nanni Moretti Mia Madre, illumina letteralmente il palco con la sua esile figura passando da una pacata ironia fino all’intensità di alcuni passaggi; l’attrice fa proprio il personaggio creato dal regista argentino, lo riempie di una vitalità dolente ma mai eccesivo o melodrammatica.
Emilia ha amato per tutta la sua esistenza; ella deve essere utile per poter continuare ad esistere seppur persino l’amore talvolta non basti a salvare l’umanità da se stessa.
Un plauso alla funzionalità discreta ma importante delle luci di Luigi Biondi e alle scene di Paola Castrignano.
Si esce colmi di sentimenti contrastanti dalla sala, inquieti e storditi e tale vortice d’emozioni è uno dei doni più belli che il Teatro reca allo spettatore.
Roberto Cesano