Fabbrica @ Teatro Vittoria – Roma

In scena al teatro Vittoria fino a domenica 28 ottobre Fabbrica, di e con Ascanio Celestini. Protagonista la fabbrica, appunto, antica e potente, immutabile al passare del tempo, alle generazioni, alle guerre, alle rivolte.

Un lunga lettera che diventa confessione, racconto, nostalgia, speranza e tristezza, che si trasforma in continuazione, cambia direzione, ritorna indietro, intreccia diverse storie, catapultandosi tra flash back a ritroso nel tempo, dove tutto ha un senso compiuto anche se non è visibile nel presente. Una lettera, l’ultima alla madre, alla quale il protagonista aveva scritto e spedito una missiva al giorno per cinquanta anni, tralasciando proprio quella che è la colonna dorsale dello spettacolo, quella che avrebbe dovuto scrivere il primo giorno di lavoro in fabbrica, il 16 marzo del 1949. E così inizia ogni periodo con l’esordio della lettera, cara madre, ripetitivo, ma mai noioso.

Pochi elementi scenici, gestualità sapiente e il carisma dei grandi affabulatori, Ascanio Celestini ci regala un monologo perfetto nei tempi e nei contenuti, un lungo monologo in cui sono ripercorse le tre età nella vita dell’istituzione-mondo fabbrica: quella della sua nascita e prima evoluzione, in cui i lavoratori erano quasi eroi, autori di un’impresa che avrebbe portato grandi benefici all’umanità; poi quella dell’aristocrazia operaia, negli anni del primo dopoguerra e del fascismo, quando la produzione di armi non distingueva fra fedeli al regime e comunisti; infine, l’età contemporanea, in cui le macchine hanno sostituito gli operai e dove rimangono solo quelli che la fabbrica stessa ha reso storpi e deformi.

Cinquant’ anni di storia italiana, condensati, con rara precisione, in poco meno di un’ora e mezzo di parole, immagini, suggestioni quasi in apnea, in un ritmo incalzante. E’ una storia di fatica e licenziamenti, di morti bianche ed alti forni, di operai, di guerra e miseria, di amicizie, di sindacati. E’ la storia di Fausto, figlio di Fausto, nipote di Fausto, e di Assunta, la bella operaia che sembrava una madonna, di padroni come Paride Pietrasanta, di lotte e rivendicazioni, di fascismo e di fascisti.

Una storia fatta di segreti da non svelare per non renderli meno importanti, di scheletri nell’armadio, di segreti che restano lì, mentre i testimoni vengono cancellati, ma anche di verità che risalgono a galla e, nelle rapide allusioni al contesto storico, con tono fiabesco, rievocano personaggi del nostro passato recente attraverso canzoncine tramandate di bocca in bocca, c’è il ministro Scelba (“ministro dell’interno, che fa sparà sul popolo, e poi prega il Padreterno”), e Giovanni Berta (“Hanno ammazzato Giovanni Berta, figlio di pescecani, sempre sia benedetto, chi gli tagliò le mani”).
In Fabbrica Celestini non inventa nulla, poiché il materiale che ne compone il testo è frutto di lunghe ricerche per l’Italia, alla Piaggio di Pontedera e a Marghera, nella comunità di Rubiera e alla Fiat, e nel corso dello spettacolo ascoltiamo alcune interviste e voci di anziani lavoratori con ancora tanta dedizione alla fabbrica, quella con la effe maiuscola, che era casa, amici, famiglia, chiesa e religione.

Ma soprattutto Fabbrica ci riporta alle epoche delle lotte di classe, delle rivendicazioni operaie, facendoci guardare da vicino peccati più o meno gravi del nostro passato più recente: la malafede della classe dominante, la protervia di capi e capetti fascisti, pronti ad imporre piccoli e grandi prepotenze, i contrasti e le connivenze tra potere politico e potere economico, gli scontri di piazza ed i morti. Così, l’autore romano sigilla il patto tra storia antica e recente, tra le lotte di ieri contro la dittatura imprenditoriale e quelle di oggi contro l’incubo del neoliberismo che minaccia il diritto al lavoro e l’articolo 18.

Claudia Belli