In scena sino al 12 novembre al Teatro Basilica, Famiglia della compagna Fort Apache all’interno della rassegna MUFFA.
Opera di forte impatto, dotata di una ciclicità voluta e costruita visivamente e tematicamente, Famiglia diretto da Valentina Esposito è un’immersione dolorosa e vibrante nella complessità di quell’entità umana che è il nucleo familiare.
Attraverso tre generazioni di uomini, padri e figli, viaggia l’incomunicabilità ed un mix feroce d’affetto e violenza che allontana e ferisce gli uni e gli altri, accomunando i vivi ed i morti.
Alessandro è tormentato dal ricordo del padre morto, con cui non s’è mai riconciliato ed inveisce contro la sua ombra nel prologo dello spettacolo per poi prendersela con il nonno paterno, che si stabilì nell’amata Roma dalla Calabria assieme alla moglie ed ai suoi 4 figli, quattro maschi a cui non ha mai risparmiato mazzate e che anche tra loro non sono mai stati né teneri, né propensi al dialogo.
In un lungo flashback si consuma il matrimonio della sorella minore di Alessandro, occasione nella quale l’uomo torna dagli Usa dopo vent’anni di lontananza dalla famiglia e di contrasto col padre e nella quale emergono ancora una volta dissapori e frustrazioni dei vari familiari.
La cerimonia come evento cardine, come rito collettivo dell’istituzione familiare; festa ma al contempo gioco al massacro.
Non c’è comunicazione reale tra i vari parenti, soltanto non detti e per contrasto odio esibito, urlato senza catarsi o confronto, tra prevaricatori e prevaricati come il fratello minore di Alessandro, penosamente ignorato da padre, e Pierino lo zio che ha studiato e per questo è stato vessato dai fratelli e trattato da zimbello.
Le meccaniche relazionali sono messe a nudo nella loro tossicità ineluttabile; c’è tenerezza nello spettacolo della Esposito, una bellezza dolente nella drammaturgia in grado di portare in scena individui e storie comuni con un’acuta intelligenza appassionata.
Il lavoro della compagnia è intenso, con un’attenzione ragguardevole ai dettagli, riuscendo a portare in scena molteplici sottotrame, a malapena accennate sapientemente.
In Famiglia vi sono i vivi ed i morti, dicevamo: echi di rapporti monchi, rimpianti e riconciliazioni mai avvenute; l’umanità portata in scena è ferina, difettosa pur non priva d’amore, tuttavia la tossicità relazionale giace nell’incapacità di dar voce a quell’amore,
Per alcuni versi il testo è un affondo al patriarcato, come concezione familiare, ed al suo fallimento che si propaga nel tempo e nello spazio per i protagonisti, superando anche i confini tra vita ed al di là.
Lo spettacolo s’apre e si chiude in maniera identica, a voler sottolineare esplicitamente la presenza di un cerchio destinato, forse, a girare su di sé per sempre.
Il cast brilla per le ottime perfomances, grazie all’uso sapiente che la regista fa delle differenti presenze fisiche e dell’energie degli interpreti, esaltandone pregi e caratteristiche.
Fort Apache è un progetto nato nel 2014, fondato dalla stessa Esposito: una compagnia di teatro stabile composta da attori professionisti, detenuti in misura alternativa ed ex detenuti.
Scopo del progetto è stato ricanalizzare il percorso dei detenuti attraverso l’esperienza artistica; una scommessa ampiamente vinta come dimostra la qualità delle opere portate in scena e la bravura di membri della compagnia.
In scena si percepisce un’energia potente, vitale e fisica, ed è un gran pregio della regista quello dell’utilizzo di tale forza traslato sul palco in atto recitativo, oltre ad aver generato un’omogeneità perfomativa tra imembri della compagnia ed un’ottima sintonia.
Nei vari quadri scenici è evidente la riuscita del rapporto tra attore e spazio, come nella messa in scena dei balli durante la festa matrimoniale, grazie anche alle soluzioni scenografiche della stessa autrice e la scenografia di Andrea Grossi e le luci di Alessio Pascale.
Famiglia è un’ottimo spettacolo che dimostra ulteriormente, se ve ne fosse bisogno, l’utilità del Teatro nel tessuto sociale.
Roberto Cesano