Ferdinando di Annibale Ruccello è in scena fino al 21 aprile presso il Teatro della Cometa, diretto da Nadia Baldi.
Testo scritto da Ruccello nel 1985 vinse immediatamente dei premi come testo e messa in scena, grazie alla sua peculiare complessità e caustica ironia.
1780, Donna Clotilde è una nobile partenopea, di mezza età e cagionevole salute, caduta in disgrazia e vive in una dimora di provincia accudita da Gesualda, una cugina d’umili natali, e da don Catalino, il curato del paese.
La consolidata routine di questo trio, lo stesso equilibrio relazionale tra loro, è infranto dall’arrivo del giovane e, apparentemente, innocente Ferdinado, lontano parente del defunto marito di Clotilde di cui la donna si ritrova tutrice, suo malgrado.
La baronessa borbonica è una persona disincantata, dalla lingua tagliente e la tempra d’acciaio, arroccata nel proprio spazio individuale e sostenuta da Gesualda, cui è legata da un viscerale rapporto d’amore ed odio.
L’allontanamento dalla società da parte di Clotilde coincide con la caduta del Regno delle due Sicilie e l’avvento dei Savoia e della neonata Italia; ella odia visceralmente i sovrani piemontesi e la lingua italiana, che proibisce s’usi in casa sua.
Il delicato, fascinoso, giovinetto scardina una fitta trama di segreti e compromessi, infuocando i personaggi intorno a lui di amore, lussuria e desiderio di vendetta, in una vertiginosa caduta verso il baratro morale.
Ferdinado contiente in sé, come opera, una pregnante metafora sul passaggio di consegne tra lo status quo dei Borboni e il mondo nuovo dei Savoia; un cambiamento radicale che spazzò via un intero microcosmo e la sua Storia. L’amara sagacia di Clotilde, la sua visione maliziosa e pessimista della natura umana paiono trovare in Ferdinado un motivo di rinascita, ma la rovina è già stata stabilita dal fato.
Tutti i personaggi della commedia di Ruccello sono pedine, intrappolate in un perverso gioco carnale dei sensi e delle emozioni; sono creature del desiderio e lo stesso Ferdinando, per quanto possa risultare trionfante nell’eilogo dello spettacolo sugli altri protagonisti, non è esente da tale giogo né dal fio che pagherà per esso.
Un’opera straordinaria, dai molteplici sottotesti e temi, capace di contenere in sé l’eterno conflitto generazionale, che cela il melanconico sguardo verso fresche carni, un dettagliato affresco storico, una forte e dissacrante critica sociale e un sentito omaggio alla lingua napoletana.
Essa, con le sue sfumature e la sua ricchezza semantico-lessicale, è assoluta protagonista della creazione di Ruccello, arricchendo l’essenza stessa dei personaggi e la messa in scena.
L’adattamento di Nadia Baldi è sontuoso e ben diretto e ha il gran merito di metter in scena un quartetto d’attori talentuoso e in parte.
Il ruolo di Donna Clotilde pare cucito addosso a Gea Martire, attrice dal carisma ferino e intenso che divora il palcoscenico con la sua presenza e bravura.
Chiara Baffi miscela con sapienza i differenti aspetti di Gesualda, con movenze che ricorda sempre più una spirale, il movimento verso il basso che il personaggio compirà. Le perfomance di Fulvio Cantelucci e del giovane Francesco Roccaserra sono godibili nella parabola rivelatoria della natura d’entrambi, che avviene nel corso dello spettacolo.
La recitazione di tutti è sincopata, enfatizzata in gesti e movimenti e ricorda una sorta di macabra danza.
La scenografia e i costumi sono encomiabili, in quanto arte integrante e fondamentale della messa in scena e di ciò si deve dar merito a Lucio Ferrigno e Carlo Poggioli.
La riduzione di Ferdinando di Nadia Baldi è un piccolo gioiello da vedere assolutamente in questa primavera capitolina.
Roberto Cesano