Giusto la fine del mondo @ Teatro piccolo Eliseo – Roma

Il trentaquattrenne Louis sta per morire e decide, in un impeto istintivo, di far visita alla sua famiglia dopo oltre un decennio di assenza, per comunicare loro la tragica notizia.

Ad accoglierlo vi sono la madre, vedova da lungo tempo, Antoine, il maggiore tra i fratelli, Suzanne che invece è la più piccola e ha un ricordo vago di Louis e Catherine, la gentile e, apparentemente, remissiva moglie del primogenito.

Il ritorno del figliol prodigo sembra una lieta sorpresa nella routine domenicale del nucleo familiare, ma le tensioni e il disagio della visita di quello che, in sostanza, è un perfetto estraneo esploderanno presto.

Giusto la fine del mondo e’ puro teatro di parola: un fiume in piena di monologhi, in cui domina una desolante incomunicabilità tra i personaggi che investe lo spettatore e lo trascina nella sottile, ma onnipresente, sensazione d’impotenza del protagonista.

Louis cerca una catarsi prima della fine: un momento epico di chiarezza e riconciliazione con persone abbandonate da tempo, per quotidianità e personalità differenti e non per una lite o rancori domestici.

Tuttavia, il tempo ha definitivamente corroso il legame di sangue, mutando il giovane uomo e i suoi consanguinei in reciproci spettri; flebili reminiscenze d’un passato ormai sepolto.

Non v’è redenzione o possibilità di cambiamento per tale situazione: i protagonisti si muovono sul palco, simulando una riunione familiare che non ha motivo d’essere.

L’unica consapevole realmente di ciò appare Catherine, una convincente e misurata Barbara Ronchi, dietro i cui modi educati cela una profonda capacità di comprensione di quello che sta accadendo e che prende le redini in mano ad un certo punto, esigendo una cesura.

La donna, forse, ha addirittura compreso il motivo della sortita del cognato, ma lo spettatore non avrà mai la certezza di ciò; in ogni caso, ella dimostra un’affinità spiccata con Louis, assolutamente assente nei suoi parenti.

La stessa scelta di non rivelare la propria sorte  da parte dell’uomo è fonte di ambiguità!

Louis sta preservando la sua famiglia dal dolore o sta solo fuggendo da persone, cui mai è stato legato e alle quali sente di non dovere nulla, in fondo?

Il bel testo di Jean-Luc Lagarce non risponde agli interrogativi che dissemina; al contrario inscena l’implacabilità delle fratture relazionali, ineluttabili come il fato di ogni essere umano destinato alla morte e a scomparire, senza che questo comporti la fine del mondo.

È un testo amaro, d’una melanconia per nulla consolatoria- specchio del destino che toccherà allo stesso autore, morto a 38 anni- diretto sapientemente da Francesco Frangipane, nella traduzione di Franco Quadri.

Anna Bonaiuto recita nel ruolo della madre; una donna incapace di reale empatia col figlio ritrovato e quasi sollevata dalla sua repentina fuga, con una frivola gestualità sopra le righe che cela l’imbarazzo di fronte a un ritorno non voluto.

Dietro al suo atteggiamento etereo, nasconde il fervente desiderio di non rompere un equilibrio familiare rodato.

Alessandro Tedeschi impersona un dolente, dinoccolato e sobrio, Louis; un individuo distaccato e già proiettato verso un oltre senza scampo.

Fisicamente perfetto per il ruolo dell’aggressivo Antoine, Vincenzo De Michele dona un’interpretazione intensa e molto riuscita nella sua naturalezza; mentre Angela Curri s’impegna per gestire la logorrea nevrotica di Suzanne.

La scena di Francesco Ghisu, la quale raccoglie in se’ le varie stanze della casa natia di Louis, risulta ottimale per la messa in scena, garantendo ai personaggi lo spazio scenico adeguato in cui muoversi.

Un’opera contemporanea intensa, trasposta al cinema pochi anni fa dall’enfant prodige canadese Xavier Dolan con un cast all star, che merita d’esser vista.

In scena fino al 1 marzo presso il Piccolo Eliseo.

Roberto Cesano