Al Teatro Agorà di Roma in Via della penitenza 33, la compagnia I Birbi con un cast di sette attori è in scena con il Brevetto dell’anima, di Luciano Capponi autore e regista, considerato da molti un autore post contemporaneo per la sua capacità di rilanciare la mente al di là dei propri ostacoli.
L’autore ci porta nel medioevo ma non sappiamo bene se storico o della coscienza; questo non è chiaro nemmeno agli attori: il re, la crudele regina, il figlio sprovveduto del re Samuel, i due cortigiani e Gioffa, donna dai facili costumi travestita da angelica e illibata, che mira a conquistare il figlio del re. L’unico con le idee chiare è il buffone di corte Alan Bicco, che stravolge gli equilibri della corte consentendo al re di morire in pace e al figlio Samuel di conquistare il trono con un nuova coscienza e un atteggiamento più maturo.
Spettatore fuori scena è un alieno siciliano di passaggio alias Caterina Magnano di San Lio, che interviene saltuariamente durante i sonnellini del re giudicando con sguardo critico i comportamenti del re e della corte. Lo spettacolo ha come unica scenografia la camera da letto del re, dove gli attori si incontrano per interloquire con il re e tramare alle sue spalle per la conquista del trono.
Entri ridendo e esci riflettendo: inizialmente, infatti, questa pièce potrebbe apparire come una commedia ironica o una farsa ma si intrecciano dramma e tragedia e le risate degli spettatori che fanno da sottofondo alla prima parte dell’opera nella ultima parte si placano.
Il Brevetto dell’anima sembrerebbe quindi essere l’esame finale dopo aver superato altri brevetti strettamente collegati a quella catena inossidabile della idiozia umana.
In scena fino al 25 ottobre.
Monia Zambernardi