Il compleanno @ Teatro Sala Umberto – Roma

In scena presso il Sala Umberto, sino al 12 febbraio, Il compleanno di Harold Pinter diretto da Peter Stein.

Testo del 1957, adattato per l’occasione da Alessandro Serra, rappresenta un’incursione del prolifico drammaturgo nel no senso o come lo stesso Pinter la definiva nella commedia della minaccia: in una località balneare, Meg sta servendo la colazione al marito, Petey, mentre questi legge il suo quotidiano e la donna attende nervosamente che Stanley si desti e scenda per consumare il pasto a sua volta. Quando quest’ultimo fa la sua comparsa ancora rintronato dal sonno, scopriamo che non è il figlio della coppia bensì il loro unico affittuario nell’improvvisata pensione.

Alle amorevoli e un po’ soffocanti attenzioni della donna, Stanley risponde in maniera scomposta e nevrotica ma ciò non distoglie Meg dalla sua iperattività mattutina fino a quando non gli comunica che due nuovi ospiti pernotteranno in casa per quella notte; tale notizia esacerba la nevrosi dell’uomo che continua a domandare alla proprietaria di casa se abbia notizie sui nuovi pensionanti, come se temesse la visita di qualcuno proveniente dal suo passato.

Chi è Stanley Weber?

Dalle parole di Meg, lo spettatore evince sia un pianista in disgrazia, capitato nella cittadina per caso e rimastovi per una profonda crisi personale per cui non pare uscire da casa neppure dopo le insistenze di Lulu, una giovane amica della sua affittuaria la quale possiede un cero ascendente sul musicista.

La sua identità è talmente incerta che è Meg a stabilire che quello è il giorno della sua nascita, con tanto di tamburo come dono di compleanno; saranno poi Mc Cann e Goldberg, i due distinti nuovi ospiti, a convincerla ad organizzare un party per Stanley, il quale tenterà di fuggir via ostacolato da loro due mentre i padroni sembrano del tutto inconsapevoli della tensione che aleggia nella propria dimora.

Chi sono il giovane e servizievole Mc Cann ed il maturo ed elegante Goldberg? Apparentemente due professionisti di passaggio nei loro completi da lavoro e le pesanti valigie, tuttavia ad un certo punto è evidente che il motivo della loro comparsa sia proprio Stanley.

Scritta a soli 27 anni, l’opera di Pinter è fortemente influenzata dal Teatro dell’assurdo di Beckett e Ionescu in cui la quotidianità si tramuta in una metafora dell’assoluta mancanza di significato dell’esperienza umana e dei suoi riti, come il tram tram quotidiano della colazione con cui si apre e si conclude lo spettacolo- la ciclicità che è ripetizione insensata degli stessi gesti-.

Pinter fornisce una serie di quesiti ma non risposte, rimarcando lo stordimento semantico tipico della nostra vita: Stanley è forse un criminale, uno psicotico in fuga, un uomo in debito con le persone sbagliate o che ha fatto uno sgarbo alle persone sbagliate?

Mc Cann e Golderberg sono degli aguzzini, dei salvatori, dei compagni dell’uomo in losche attività o solo l’incognita del mondo esterno che irrompe in un microcosmo cristallizzato rompendo l’equilibrio?

Meg e Petey sono immobili ed inconsapevoli: la colazione è ottima, il giornale riporta solo buone nuove, le persone intorno a loro sono amabili; il velo sui loro occhi è una vera e propria benda, come quella della mosca cieca– gioco presente nello spettacolo-.

Stanley tenta di sovvertire quest’ottusa armonia, contestando la colazione di Meg a base di latte rancido e thé non più caldo però è sconfitto in partenza e in procinto d’esser allontanato da questo Eden fossilizzato nel tempo e nello spazio.

Peter Stein è un decano della regia ed infonde la propria maestria in una regia essenziale e precisa, come un bisturi che affonda nella poetica pinteriana portando a galla temi ed inquietudini: la semplice cucina dei coniugi si trasforma in un dedalo orrifico e visionario a tratti, nel quale ci si perde e ci sconta senza incontrarsi mai.

Ottimo il cast, dalla straordinaria Maddalena Crippa- Meg- ad Alessandro Averone- Stanley- fino alla giovanissima Emilia Scatigno- Lulu-, le cui interpretazioni portano brillantemente in scena il fascino ambiguo del testo di Pinter.

Roberto Cesano