È di scena al Teatro dell’Orologio Il duce ha sempre ragione, monologo scritto da Roberto Colella, diretto da Gianni Manusacchio e interpretato da Francesco Vitale.
Il monologo parla di un giovane degli anni ’40 e della sua tragica storia, che si intreccia a quella più articolata e più famosa di Benito Mussolini. Situazioni dell’ambiente domestico, scolastico e sociale del giovane s’intrecciano a quelle della nascita e decaduta del fascismo, che sviluppa linee narrative funzionali all’ avviluppamento della storia, scandendone i ritmi temporali. È il ricordo di questo giovane uomo che ci narra la figura, il simbolo, il personaggio di Benito Mussolini, ci parla delle sue paure, dei suoi scaramantici amuleti, delle sue amanti, del suo essere padre padrone e dell’ essere fragile inutile uomo, scandaglia la sua figura di dittatore e lo rende umano, viscido, arrogante, presuntuoso, prepotente, ingiusto. A tratti la pièce è ironica nei confronti del duce, che chiede sacrifici ad un popolo ormai già alla frutta, ne mette in risalto la debolezza fin da subito con le sue paranoie e superstizioni, ma poi diventa riflessiva quando parla degli eventi di questa famiglia che, proprio come il fascismo, dopo un periodo di splendore cade in un baratro buio da dove non riuscirà ad uscire.
A causa delle leggi razziali, l’uomo-ragazzo, cresciuto nel ’38, verrà abbandonato dal suo amore deportato verso la Polonia su un treno recante la scritta il Lavoro rende liberi. La famiglia, divisa politicamente tra la madre schierata in prima linea nel fermento patriottico di provincia e lo zio oppositore, forma le idee del nostro protagonista, che si farà una coscienza politica autonoma il giorno che la madre, andata volontaria in guerra per amor di patria, morrà. Tra il rancore della vendetta e il fervore delle proprie idee, il nostro narratore cercherà di combattere i repubblichini ma sarà giustiziato, e le sue ultime parole saranno le stesse del la canzonetta fascista inculcata dalla madre, che finisce con uno straziante doloroso Presente, che non sarà più parola di Fascio ma parola di morte.
La messa in scena è un po’ inconsistente, il disegno di regia è buono nella parte concettuale ma poco incisivo, per molti versi mi il testo risulta poco interessante e la recitazione un po’ slabbrata. L’attore rende bene la parte narrativo – storica, ma entrando nel vivo dell’interpretazione diventa vago, ancora legato al precedente evento teorico non si lascia prendere dal sentimento che urge al momento. Sembra sempre che racconti la storia di qualcun altro, diversamente al volere della scrittura, che, per quanto semplice e scontata, passa dalla prima persona del personaggio, e quindi a sentimenti reali, alla terza persona di un narratore e quindi alla tecnica . Le continue relazioni tra la politica odierna e il fascismo sono un po’ scontate e l’attore non è né carne né pesce, costringendosi a continui andirivieni tra il narratore e il personaggio.
Non era interessante neanche l’utilizzo degli oggetti, ben fatti, ben ricercati ma gestiti male. I cambi scena con l’aiuto del servo di scena, tolgono la spettacolarità al teatro inteso come tale, ma purtroppo per una abbondante quantità di essi non se ne può fare a meno, anche se il tutto è eccessivo per un ora di spettacolo. Il Duce ha sempre ragione! ha un ottima idea di fondo, dunque, che deve essere però migliorata.
Il Duce ha sempre ragione è di scena al Teatro dell’Orologio fino al 18 Novembre.
Francesco Prudente