Il Grande Inquisitore @ Teatro Eutheca – Roma

All’interno del monumentale affresco de I Fratelli Kramazov, Fedor Dostoevskij incastonò una novella ambientata nella Spagna della Santa Inquisizione. Il grande Inquisitore narra proprio del confronto durissimo tra il religioso a capo dell’Inquisizione a Siviglia ed un uomo che pare il redivivo Cristo e che ha compiuto alcuni miracoli nella città. All’autorevole inquisitore non importa appurare la reale identità dell’altro  né il motivo di un eventuale ritorno in terra del figlio di Dio, ma desidera che l’ingombrante figura svanisca senza rivoluzioni allo status quo presente. Il lunghissimo discorso che l’anziano prelato tiene è una parabola su concetti cardini dell’esistenza umana quali il Bene e il Male, il potere e l’autorità stessa. 

Nelle segrete di una prigione sivigliana, un rappresentante della Chiesa Romana Apostolica crede d’incontrare il Messia e lo aggredisce con veemenza, contestandogli quelli che egli ritene degli errori mortali nella sua condotta e arrivando a minacciarlo di bruciarlo come un eretico in piazza. Il potere, inteso come esercizio della volontà umana, è il perno della novella dostoevskiana, il libero arbitrio, che l’inquisitore, simbolo dell’autorità, crede un male, è una vera piaga che porta sofferenza al mondo e che Cristo ha perorato come principio fondamentale per tutta la sua vita terrena. Nella visione del mondo del vecchio cardinale, la libertà della fede,contrapposta al desiderio di ordine, diviene motivo di caos, peccato mortale che Cristo reca su di sé dopo l’incontro con la tentazione nel deserto. Ed il secondo avvento del Salvatore non è concepibile: Cristo non può ritornare sovvertendo l’ordine che la Chiesa ha istituito , poiché il cammino lordo di sangue e sacrifici verso il benessere dell’ebete e sciocca massa sarebbe vanificato e ciò è un orrore per l’inquisitore, un’eventualità da scongiurare nella notte più importante della sua vita. L’autore espone le motivazioni del religioso senza condanne o biasimi, generando una delle figure narrative più complesse ed affascinanti mai prodotte.

Lo scrittore russo scrisse una summa dell’unicum tematico, che costella la sua produzione letteraria, consegnando ai posteri una delle pagine più alte della narrativa d’ogni tempo e lo fece con parole dalla potenza evocativa e dalla profondità filosofica ineguali.

 

Peter Brook ha preso la novella di Dostoevskij e l’ha trasformata in un’opera teatrale, grazie all’adattamento di Marie-Hèléne Estienne, riuscendo a traslare pienamente la complessità del testo in un altro medium artistico.

Bruce Myers entra in scena e si colloca di fronte ad un leggìo, recitando l’intera pièce in inglese mentre dietro di lui scorrono i sottotitoli.

Non c’è nulla tra l’attore e gli spettatori, nessun elemento decorativo; la scena è volutamente scarna in quanto è l’impatto dialettico dell’interpretazione di Bruce Myers e delle parole che egli enuncia il fulcro palpitante de Il grande inquisitore.

Siamo di fronte all’essenza stessa del Teatro, che scorre sotto i nostri occhi e nelle nostre orecchie, inondandoci con un magnetismo inaudito.

Ed è qui che appare la maestria di Peter Brook, il cui lavoro non ha bisogno di presentazioni, essendo uno dei più importanti protagonisti della scena teatrale mondiale di ben due secoli: il rigore della sua regia emerge dalla composizione visiva stessa del monologo, vincendo l’ardua sfida di trasporre un’artista così complicato e definito qual’è Dostoevskij.

Bruce Myers si staglia di fronte alla platea, donandogli il vecchio inquisitore: ogni suo gesto, esitazione, cambio di tono sono studiatissimi e naturali al contempo, egli riempie lo spazio con la propria voce e con le parole immortali dello scrittore. La piccola figura dell’attore sovrasta ogni cosa, rapendo lo spettatore che è consapevole e stordito da tale impatto, dalla forza animale dello sguardo di un attore sublime.

Potenza e rigore dunque, in regista ed interprete sono i tratti salienti che contraddistinguono tale ispiratissimo spettacolo in scena presso il Teatro Eutheca.

Chiunque ami il Teatro deve necessariamente vedere uno spettacolo curato da Peter Brook e, per chi non l’avesse ancor fatto, questa è l’occasione giusta.

 

Roberto Cesano