In scena presso il Teatro Argentina sino al 3 dicembre, Il ministero della solitudine diretto da Lisa Ferzato Natoli e Alessandro Ferroni.
Lo spettacolo trae spunto dalla creazione del Ministero della solitudine in Gran Bretagna nel 2018, con lo scopo d’occuparsi dell’alienazione dei disagi dei cittadini britannici; una scelta alquanto inconsueta e quasi poetica per un governo.
Cinque personaggi: Alma, Giulia Mazzarino, una ragazza perennemente con le cuffie in giro per una casa, da cui non esce mai; Primo, Emiliano Masala, un moderatore dei social che cancella contenuti non idonei dal web e che, incapace d’interazioni sociali reali, convive con Marta, una bambola/manichino alla quale si rivolge come fosse viva; F, Francesco Villano, alla costante ricerca di fondi per i propri progetti inerenti le api, per scongiurare l’estinzione umana e non solo; Teresa, Caterina Carpio, la madre di Alma che ha terminato un romanzo, verso cui serba altissime aspettative, ma è bloccata nelle sue paure quanto la figlia; infine, Simone, Tania Garriba, un’impiegata del Ministero che interagisce con gli altri personaggi ed incarna in sé l’essenza stessa delle finalità di tale istituzione.
Cinque declinazioni della solitudine, Simone compresa in quanto destinataria e recipiente delle altrui emozioni, paure e desideri, che vagano come schegge impazzite in scena, comparendovi e ritraendosi.
Un’opera ambiziosa sulla condizione umana, con la drammaturgia testuale curata da Fabrizio Sinisi, quella del movimento da Maddalena Parise ed i monologhi/flussi di coscienza dei cinque protagonisti scritti dai rispettivi interpreti, risultando fortemente fondata su tale frammentarietà e che in essa cerca la sua cifra stilistica definitiva.
Il risultato è uno spettacolo dalla confezione accattivante- interpreti talentuosi, scenografie di Alessandro Ferroni e luci di Luigi Biondi suggestive e ben integrate con la messa in scena, brani musicali evergreen di facile presa sul pubblico- con un problema strutturale di forma.
Per la sua intera durata, si ha la sensazione che Il ministero della solitudine ruoti su sé, gettando frammenti di spunti, anche molto interessanti, lasciati precipitare in una sorta di precipizio siderale semantico.
Ciò ne inficia la riuscita finale, rendendola alquanto parziale e discontinua, venendo a mancare spesso il collante tra le voci dei personaggi e contribuendo a farne un’opera dagli aspetti estetici impeccabili ma, talvolta, povera nel contenuto.
Come anticipato sopra, gli attori sono piuttosto bravi nel lavoro di definizione del proprio ruolo; tutti gli interpreti spiccano per presenza scenica e impegno nel riempire la scena d’uno spettacolo imperniato sul vuoto emotivo degli esseri umani.
La frammentarietà episodica della messa in scena ha un suo algido fascino, presente in ogni componente tecnica, tuttavia l’astrazione con cui il tema della solitudine è affrontato, con voluto distacco e sguardo esterno, diviene un limite e non un pregio.
Tuttavia, intenzione di opere di tal genere è anche generare riflessioni e confronti ed il recensore invita ad andarlo a vedere per goderne della bellezza visiva ed interrogarsi sui tanti quesiti che l’argomento trattato fa sorgere.
Roberto Cesano