Intervista a Alessandro Fontana – Mi sei scoppiata dentro al cuore. Mina. Le canzoni. Un’epoca. Una Storia @ Teatro Stanze Segrete – Roma

fontanaAl Teatro Stanze Segrete è in scena Mi sei scoppiata dentro al cuore. Mina. Le canzoni. Un’epoca. Una storia, diretto da Elisabetta De Vito e Ciro Scalera. Uno spettacolo musicale a una voce sola, narrato, recitato e cantato da Alessandro Fontana. Un uomo speciale, forte, determinato e molto coraggioso. Un artista a tutto tondo, un attore cantante con una storia ricca e articolata. Lo abbiamo incontrato per voi.

Buona serata e grazie di cuore per la disponibilità. Cominciamo con una considerazione che certamente hanno fatto in tanti e cui probabilmente hai già dovuto rispondere diverse volte. Un uomo che interpreta una donna è una bella sfida, soprattutto se si tratta di Mina e, quindi, non esattamente una donna comune.

“Assolutamente non si tratta di una donna qualunque ed è per questo che le ho dedicato uno spettacolo intero. Si tratta di uno spettacolo recitato e cantato, come se fosse un piccolo musical da camera, perché le canzoni sono l’estensione di un pensiero, di uno stato d’animo che viene espresso prima a parole. Per un’ora e mezza racconto la storia di Mina e anche quella della nostra Italia in un periodo che va dal 1960 al 1978, gli anni dell’ascesa economica dell’Italia e poi del suo rinchiudersi negli anni di piombo, con la morte di Aldo Moro. Quel periodo coincide con l’ascesa di Mina, con gli anni del suo splendore televisivo, delle sue esibizioni alla Bussola, e poi del suo ritiro dalle scene, avvenuto molto presto e definitivamente nel 1978. Faccio combaciare uno squarcio della storia della nostra Italia con la carriera di Mina, proprio perché credo che Mina sia sempre stata una donna avanti rispetto ai tempi. Mi permetto di cantare le canzoni di Mina con molta rispetto, proprio perché sono un uomo e, quindi, non c’è in realtà un termine di paragone, non sono una donna che canta Mina e di conseguenza canto le sue canzoni con umiltà ma anche per renderle omaggio. Ha avuto il beneplacito di Massimiliano Pani, il figlio di Mina, che ha ascoltato le canzoni cantate di me e ha dato il suo consenso alla realizzazione di questo progetto.”

Ho ascoltato anche io alcune registrazioni e sono rimasta colpita dall’emozione che ci metti nell’interpretarle.

“Vedi, Io canto solo le canzoni che mi piacciono e che mi danno emozioni. Sono un attore cantante e quindi spero che queste emozioni io riesca a trasmetterle a chi mi ascolta, che arrivi il mio stato d’animo al pubblico in sala.”

Il teatro in cui si svolge lo spettacolo è uno spazio molto particolare, accogliente e intimo.

“Il Teatro Stanze Segrete è, in effetti, un teatro molto piccolo, sulla scia di questa tendenza che viene da Parigi di fare teatro in spazi molto piccoli, in cui c’è un rapporto molto diretto con le persone in sala e in cui non ci sono filtri tra attore sulla scena e pubblico. Un teatro suggestivo nel cuore di Trastevere a raccontare una storia suggestiva.”

Un progetto, quindi, che, attraverso il teatro, avvicina la storia dell’Italia e la musica, la storia e la carriera della mitica Mina e le vicende di quegli anni. Un progetto di grande spessore.

“Sarà il pubblico a giudicare lo spettacolo, ma posso garantire che si tratta di un progetto fatto con molta passione. L’idea è stata mia, mentre lo spettacolo è stato scritto da Olga Garavelli e diretto da Elisabetta De Vito e Ciro Scalera. Ognuno ha contribuito con la sua professionalità allo spettacolo in modo esemplare. Gli arrangiamenti, in particolare, sono stati la parte più importante e difficile e sono stati curati da Massimo Di Vecchio, che è riuscito a reinterpretare le canzoni lasciando l’anima e il cuore delle canzoni stesse, non stravolgendole. Ci sono arrangiamenti completamente diversi dagli originali per adattarle alla voce di un uomo, ma mi fa piacere sentire da chi le ascolta che non rimpiange le versioni originali. Era indubbiamente un’impresa ardita riarrangiare le canzoni di Mina perché non era mai stato fatto in modo così approfondito. Fino ad ora è stato fatto per una o due canzoni, ma soprattuto è stato fatto per interpretati donne e non per uomini. Non essendo una donna, le interpreto in un modo diverso, non “mineggio”, ma metto nelle canzoni me stesso, il mio stile, tenendo comunque sempre presente il suo modo caldo di interpretare, il suo stile molto viscerale, molto uterino, se possiamo usare questo termine. Intreccio tra la vita di Mina e la storia di quegli anni. Ho scelto Mina perché si tratta di una donna sempre avanti nei tempi, ha sempre anticipato i momenti storici, quindi è la persona migliore per intrecciare la sua storia con la storia dell’Italia.”

Una tua carriera artistica è molto interessante, varia: hai abbracciato tante discipline diverse.

“Ho fatto un po’ di tutto. In tempi non sospetti ho studiato recitazione, canto e danza. Ho cominciato con la prosa classica, con Tito Andronico di William Shakespeare, con Turi Ferro e la regia Gabriele Lavia al teatro Eliseo, ma poi ho scoperto il piacere di unire la recitazione alla musica, ho imparato che potevo esprimermi sia con la recitazione sia con il canto ed ho, quindi fatto moltissimi musical. In effetti sono sempre stato affascinato dal musical, che rappresenta un po’ il mio liquido amniotico, l’ambiente in cui mi trovo meglio. Nel resto del mondo c’è molto più rispetto per questo genere, mentre in Italia purtroppo è stato considerato per molto tempo un genere leggero. Nella realtà del nostro paese si separano ancora molto il canto e la recitazione, mentre all’estero tutti gli attori studiano entrambe discipline, diventando artisti più completi e versatili. Per fortuna ultimamente anche in Italia il musical sta diventando di moda e, quindi, si trovano diversi attori cantanti tra le nuove leve. Io sono un po’ più grande, quindi mi sento un po’ un precursore: un attore cantante che recita da attore e canta da cantante perché ho studiato entrambe le discipline. Proprio avvantaggiato dalla mia esperienza di attore cantante, ho avuto modo di partecipare a diversi musical, senza bisogno di raccomandazione e spinte. Inizialmente il musical faceva fatica a prendere piede in Italia, ma ora ci sono tanto ragazzi completi e davvero molto bravi. Sono stato uno dei primi a credere nel musical, anche quando in Italia veniva considerato un genere minore rispetto al teatro di prosa ed i miei colleghi attori mi prendevano in giro chiedendomi quando sarei tronato a fare il teatro serio. Sono stato a Londra, purtroppo non a New York, ma ho potuto apprezzare come i teatri di musical e, soprattutto, gli artisti che interpretano un musical sono considerati con ancora più attenzione rispetto ai semplici attori di prosa o nella peggiore delle ipotesi allo stesso livello rispetto agli altri generi. In Inghilterra e negli Stati Uniti, il musical non è considerato uno spettacolo leggero, anzi il genere è stato utilizzato anche per raccontare argomenti molto seri, addirittura un grande autore di musical ha portato in scena Le rane di Aristofane come musical.”

Lo spettacolo che porti in scena non è uno spettacolo leggero, ma, anzi, è pieno di significato.

“Si tratta di uno spettacolo molto fruibile e molto appassionante, proprio perché chi è del mio periodo si ricorda un’epoca che ormai non c’è più, gli anni ruggenti sia musicalmente che socialmente, un periodo di grande sviluppo economico e di evoluzione sociale, mentre i giovani si stupiscono di quanto racconto e mi dicono che sono stato fortunato a vivere quel periodo. Fa piacere perché vuol dire de lo spettacolo è arrivato e che ha un senso. Tutto questo lo faccio dopo che sono stato colpito dalla meningite e sono diventato disabile. Anche la voce era andata via, ma poi è tornata. E allora ho pensato che se Dio, se posso usare questa parola, mi ha ridato questo dono, forse dovevo metterlo al servizio di qualcosa di più importante del semplice esibirmi sul palcoscenico. Lo avevo già fatto, mi ero esibito e avevo avuto le mie soddisfazioni. Lo stereotipo dell’attore narciso ed egoista non mi è mai piaciuto, allora ho cominciato a esibirmi per dare voce a realtà di malattie sconosciute e a persone che sono state meno fortunate di me e l’esibizione è diventato un modo per portare alla luce realtà sconosciute ai più e questo aiuta a dare un senso al mio mestiere.”

Volevo arrivare proprio a questo. I tuoi successi sul palcoscenico e la tua brillante carriera colpiscono, ma soprattutto colpisce una grande forza di volontà ed una grande grinta per superare le difficoltà di una malattia che ti ha reso disabile, con problemi reali e difficili da affrontare.

“Non mi vergogno della mia disabilità ma non mi arrendo. E cerco di fare arrivare questa forza attraverso le mie esibizioni, con l’emozione che metto nel mio lavoro: Tutto questo mi fa stare vivo, malgrado attraversi dei momenti di grande sconforto, molto bui. Non è stato facile per niente. Con la meningite era sparito tutto, anche la voce, una delle mie doti più importanti non c’era più. Non era il massimo della vita avere quella voce afona e gutturale ed ho lottato per riconquistarla, ci ho messo grinta e forza e per fortuna è ritornata. La soddisfazione più grande è unire al mio mestiere un’utilità sociale, come se io fossi portavoce di persone che voce non hanno, perché io salgo sul palcoscenico e non tutti hanno questo privilegio. Alla fine dello spettacolo parlo sempre di realtà sconosciute ai più che voglio portare a conoscenza del pubblico. Ora per esempio sto collaborando con il CNMR, il Centro Nazionale Malattie Rare, che è una realtà particolare. Le malattie sono considerate rare quando colpiscono 5 persone su 10000/15000 e solo in Italia ci sono milioni di malattie rare. Il centro serve innanzitutto per dare un nome a patologie sconosciute e poi per trovare una cura. Prima mi occupavo di malattie singole, ma poi mi sono domandato se fosse più importante occuparmi della goccia o del mare. In questo caso il mare è la ricerca, e con un solo gene si possono curare diverse malattie. Il centro è quindi importante per aiutare tante persone.”

Un utilizzo del teatro per portare un messaggio di solidarietà e di sostegno a chi ha bisogno di aiuto, ma anche un modo per dimostrare che si può combattere la malattia e uscirne forti.

Esatto. Utilizzo il mio lavoro e il mio salire ancora sul palcoscenico anche per mettermi in gioco e combattere i pregiudizi che ci sono nel mondo dello spettacolo nei confronti degli artisti disabili. Non esistono artisti abili o disabili, ma solo artisti bravi o non bravi e dovrebbe essere il pubblico a decidere. Purtroppo ci sono talmente tanti pregiudizi nel mondo dello spettacolo da non dare proprio la possibilità agli artisti disabili di dimostrare la loro capacità, anche laddove si tratta di interpretare personaggi effettivamente disabili. Non si dà la possibilità nemmeno di fare provini e venire scelti. Ci vorrebbe poco a fare convivere sul palcoscenico artisti abili o disabili, basterebbe un bravo regista. E’ imbarazzante ma, a volte, anche alcuni miei amici registi non mi hanno considerato per alcune parti, semplicemente mi hanno resettato. Mi batto per portare alla luce questo preconcetto e per eliminarlo ma non riesco a farmi ascoltare. Una delle più belle dimostrazioni di consenso da parte del pubblico è quando ci si dimentica della mia disabilità, perché non è importante sul palcoscenico se cammino con il deambulatore oppure no, la sola cosa importante è l’emozione che trasmetto al pubblico che mi ascolta. Ci sono attori con seri problemi di vista che perlustrano il palcoscenico talmente bene da muoversi in scena senza problemi, quasi vedessero perfettamente. C’è un artista completamente non vedente, che si chiama Gianfranco Berardi, bravissimo. In uno spettacolo faceva dei salti mortali. Devi sapere che, per fare una piroetta, devi per prima cosa fissare un punto e poi roteare velocemente prima la testa poi il corpo, completato il giro prima arriva la testa e poi il corpo, e bisogna riuscire a tornare a fissare lo stesso punto altrimenti si perde l’equilibrio. Ecco lui, completamente cieco, riusciva a fare salti mortali impeccabili, rischiando di cadere ma non cadendo mai. Nessuno nel pubblico si accorge che è cieco. Non è vero che un disabile in scena fa tristezza, semplicemente il pubblico non è abituato.”

Un’ultima domanda: progetti per il prossimo futuro?

“No, per ora nessun progetto. È sempre più faticoso in Italia portare in scena uno spettacolo, per tanti motivi diversi ma soprattutto per la burocrazia, che sembra fatta apposta per demoralizzare anche la persona più motivata. Mi occupo anche della produzione di questo spettacolo e, per arrivare a portarlo in scena, ho dovuto far leva su tutte le mie forze, per occuparmi di tutte le piccole grandi problematiche che occorre affrontare, dalla SIAE alla agibilità a tutti i vincoli al contorno. Sono un artista, che dovrebbe pensare solo a recitare, a dare il meglio sulla scena e, quindi, ho faticato moltissimo ad occuparmi del resto.”

Devo ringraziare tanti amici, come Giorgio Gobbi, che mi è stato molto vicino e mi ha permesso di portare avanti il progetto. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di mollare, ma il mio bisogno di portare avanti il mio progetto sociale mi ha regalato la forza di continuare e di portare in scena lo spettacolo per il CNMR ancor prima che per me stesso.”

Una persona di grande spessore, un artista con una grande carica emotiva ed un uomo pieno di forza e coraggio. Uno spettacolo decisamente da non perdere al Teatro Stanze Segrete.

Claudia Belli