“Com’era bella Napoli quaranta anni fa”. Così esordisce lo spettacolo a Teatro Millelire. La bravissima Nadia Baldi ci presenta un riadattamento del romanzo classico di Giuseppe Patroni Griffi, La morte della bellezza. La Napoli del 1943, un connubio tra splendori e decadenza sotto il fuoco nemico, bombe che cadono a orari regolari, rapporti promiscui nei posti più nascosti, gli elogi di un mare di Posillipo,superiore in bellezza a quello dei Caraibi. Lo spettacolo inizia così, con una dettagliata panoramica fornita ad hoc, per entrare nel contesto e rimanervi immersi dall’inizio fino alla fine.
In questo si inserisce la travagliata storia d’amore tra il giovane Eugenio e il tedesco Lilandt, il loro incontro, le loro prime pulsazioni e iniziazioni sessuali, il rifiuto della loro sessualità in un periodo molto pericoloso della storia di Napoli, e poi alla fine il loro cadere in balia dei sensi, lasciandosi andare alla libido più intima.
Emerge chiaramente la difficoltà, sia narrativa che interpretativa, di una storia a sfondo omosessuale, in quanto sicuramente non è facile narrare un’esplosione di sensazioni di due adolescenti che provano a conoscere se stessi, i primi approcci al sesso, la paura di esser giudicati dalla società, il rifiuto di esser diverso soprattutto da parte di Eugenio, che in questo caso personifica il più dubbioso, ancora con i piedi per terra, offuscato da quel velo etico fatto di luoghi comuni che il giovane Lilandt cerca di strappare seducendo il napoletano. Dopo le prime resistenze di Eugenio, infatti, tra i due nasce un forte legame sentimentale e sessuale, destinato però a una tragica fine col passare del tempo, quando, alla fine della guerra, i tedeschi vengono sconfitti e non più visti di buon occhio.
La cosa più particolare dello spettacolo è che non esiste palco, il tutto è narrato da quattro donne vestite di nero che raccontano la storia da un leggio, accompagnate da una cantante solista che interpreta spezzoni di brani napoletani e da un pianista. All’apparenza tutto sembra molto semplice, eppure, già dalle prime battute, si percepisce lo spirito dello spettacolo, abbastanza complesso nell’insieme, un po’ per la difficoltà del tema trattato in un periodo storico di famosa non tolleranza e pericolosità, un po’ per le molte battute dialettali, un po’ perchè spesso le bravissime interpreti parlano volontariamente all’unisono, creando un insieme vocale che con la musica di sottofondo, riecheggiava i mormorii e le sensazioni intime della città partenopea ma anche dell’inconscio dei protagonisti e della società. Un’impresa ardua ma ben riuscita, considerando che l’esposizione molto decisa, con dovizia di particolari su un legame omosessuale maschile, è stata interamente resa viva da 4 presenze femminili, che con la sola voce riescono a plasmare immagini direttamente nella testa delle persone.
Uno spettacolo in un contesto storico malinconico, comunque impegnativo, ma ricco di fascino e magia, che lascia molto spazio alla libera interpretazione figurativa. Assolutamente da non perdere.
Marco Lelli