La verità sta nei dettagli
-Tiresia-
Delfi, antico tempio dedicato ad Era, fu conquistato da un giovane Apollo che uccise il gigantesco serpente Pitone per vendetta contro la stessa dea; ella aveva scagliato il mostro contro sua madre, incinta di lui e la gemella Artemide, come rappresaglia per l’ennesimo tradimento di Zeus.
Signore dei vaticini, Apollo stabilì a Delfi un oracolo presidiato dalla casta sacerdotale delle Pizie, vergini destinate a predire il futuro possedute dal dio che parlava per loro tramite.
A Delfi, Pannychis, undicesima Pizia ormai vecchia e prossima alla fine, è stanca di vaticinare per potenti ed umili e schernisce le sue stesse profezie, ritenute infondate e meramente casuali come probabilità nell’azzecare il corso degli eventi prossimi.
Pressata da Merops, tesoriere del tempio, pronuncia un vaticinio scritto da Tiresia, il cieco veggente del Mito Greco, sulla peste che attanaglia Tebe governata da Edipo, cui non ricorda d’aver predetto il destino di inconsapevole patricida e sposo della madre.
Pannychis non si attribuisce alcun potere divinatorio e disprezza l’uso dell’oracolo da parte dei governanti greci per manipolare il popolo, ma scopre suo malgrado come le sue predizioni si siano avverate, nonostante fossero alquanto strampalate nel caso del povero Edipo, il cui destino fu plasmato dai vaticinii di Delfi sin da prima della sua nascita.
In un lungo e serrato confronto con Tiresia, profetessa e veggente s’interrogano sul potere della parola che diviene credenza attraverso le vicende tragiche dei reali di Tebe scandite dalle loro predizioni: la Pizia ha, svogliatamente, elaborato previsioni contorte per beffarsi dei supplici in cerca di verità e consigli da parte di Apollo, mentre l’indovino ha volutamente manipolato gli eventi attraverso il reverenziale riguardo verso le sue doti per dirigere il corso della storia nella direzione da lui auspicata.
Attraverso le due figure l’autore del testo, Friedrich Durrenmatt, analizza acutamente il rapporto tra Potere e Parola, intesa come persuasione e credenza, facendo esporre ai vari protagonisti della tragedia sofoclea dell’Edipo re differeti versioni della vicenda, come narrate nel Mito.
La Mitologia greca si diffuse attraverso il racconto orale- lo stesso Tiresia è cieco come il cantastorie Omero- ed è caratterizzata da moleplici variazioni della medesima narrazione.
Dov’è pertanto celata la verità? Esiste una versione seminale del mito di Edipo, come degli altri?
Usando il Mito come metafora della perenne narrazione condivisa che contraddistingue l’umanita, Durrenmatt disquisisce dell’uso che gli individui, i potenti in primis, fanno della parola e della fede come atto di controllo.
Lo scrittore ci parla dello stato di salute della democrazia, componendo uno strepitoso dialogo tra i due custodi della parola del dio, Apollo, in cui viene analizzata la natura stessa della verità; essa sta nei dettagli, affermerà Tiresia e di contraltare Pannychis gli replicherà che gli esseri umani sono alquanto approssimativi.
Opera di fine sagacia e caustica ironia, La morte della Pizia è portato in scena adattata da Patrizia La Fonte- interprete di Pannychis- e Irene Losch per la regia di Giuseppe Marini, con coprotagonista Maurizio Palladino, con estremo rispetto verso la vena grottesca e tagliente dello scrittore.
La Fonte e Palladino recitano svariati ruoli con humour e bravura, dando un taglio brillante allo spettacolo ed instillando una serie di interessanti riflessioni nello spettatore.
Dietro di loro, una tela con il volto d’una statua di Apollo solcato da una lacrima di sangue, che è un chiaro riferimento ad altri casi di credenza e suggestione più recenti e controversi per sottolineare il tema portante del testo.
Irene La Fonte trasmuta a seconda del personaggio, passando dalla mordace e disillusa Pizia per cui la morte non è un dramma ad altri personaggi che non menzioniamo per lasciarvi il gusto della scoperta, con grazie e fluidità mentre Palladino spicca maggiormente, come interpretazione, nel ruolo di Tiresia accentuando, forse, troppo l’aspetto ridicolo di Merops, l’avido tesoriere di Delfi votato più al lucro che ad Apollo.
Solida regia di Marini ed ottime luci di Alessandro Greco.
In scena, presso il Teatro Vittoria fino al 15 ottobre.
Roberto Cesano