La scortecata @ Teatro India – Roma

C’era una volta un re che s’invaghì d’una voce femminile, senza conoscere le fattezze dell’oggetto del suo desiderio.

C’erano una volta due decrepite, raggrinzite, sorelle in una misera dimora; entrambe molto anziane e nubili da sempre, non avevano mai provato le gioie dell’amore finché un giovane regnante non s’era infatuato d’una di loro, ascoltandone solo la voce.

Le due donne tentarono in molti modi d’ingannare tale re per non svelargli età e aspetto della sua amata.

Emma Dante prosegue la sua immersione nell’infinito cosmo della grande narrazione, con la rilettura di opere universali come L’Odissea, e di fiabe e racconti popolari come nel caso de Le Pulle e quest’ultima opera, in scena presso il Teatro India fino all’undici novembre.

La scortecata è tratto Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, testo che raccoglie 50 fiabe ispirate al folclore campano, che è stato anche adattato al cinema da Matteo Garrone nel 2015.

La vicenda disperata del tentato inganno da parte delle due vecchiette incarna bene il rifiuto del decadimento fisico e l’immancabile nostalgia della gioventù, la cui fine è un peccato mai perdonato alle donne d’ogni epoca.

La miseria della condizione delle protagoniste è sia esteriore- età, aspetto, condizioni di vita e della casa- ché interiore e genera nello spettatore una sincera partecipazione e pietà verso loro.

Come dicevamo, la regista ripropone alcuni tratti tipici della sua drammaturgia: oltre alla citata ispirazione, ritroviamo anche ne La scortecata l’uso di corpi maschili in panni femminili, una forte propensione a un tono grottesco e d’impatto visivamente forte e diretto.

L’uso del termine corpo non è affatto casuale in quanto il lavoro fisico, compiuto dagli interpreti della Dante nei suoi spettacoli, è basilare come mezzo espressivo in tutte le sue opere; corpi che si contorcono, s’irrigidiscono e vibrano d’emozioni d’ogni tipo, gli attori di Emma Dante sono potentemente carne e sangue sul palcoscenico, attorno cui sono costruite delle storie.

Bravissimi i due interpreti, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, che per circa un’ora incantano la platea con un’interpretazione alquanto impegnativa in termini di resa fisica.

L’intero spettacolo è affidato a loro, in una messa in scena essenziale priva di scenografia ma caratterizzata da luci, curate da Cristian Zuccaro, che catturano le emozioni delle due povere donne alle prese con un desiderio impossibile.

Un’opera molto bella e suggestiva, anche se viene da chiedersi se la celebre drammaturga in futuro abbandonerà tale cifra stilistica per confrontarsi con nuove sfide, tematiche e visive, per il suo indiscusso talento.

Roberto Cesano