Konrad ed Henrik s’incontrano dopo decadi, nella dimora del secondo nel 1940.
Sono cresciuti assieme, legati da un profondo, radicato, sentimento di fratellanza finché Konrad non è fuggito dall’ Europa all’alba del primo conflitto mondiale, abbandonando l’amico e Krisztina, la moglie di Henrik.
Forse è la figura di Krisztina il nucleo incandescente della rottura di tale rapporto?
O vi sono motivi ancor piu’ complessi d’un triangolo amoroso?
Le Braci – le candele bruciano fino in fondo è uno dei romanzi più noti di Sandor Marai, autore ungherese il cui straordinario talento lo pone nel gotha degli scrittori piu’ importanti del Novecento; nelle sue pagine si ripropongono alcuni dei temi cari all’artista, come la natura ambigua e multiforme delle relazioni tra gli individui ed il mutamento, doloroso e lancinante, politico e sociale che caratterizzo’ l’Europa tra le due guerre mondiali.
Marai stesso, figlio della borghesia ungherese di stampo austroungarico, fuggirà dalla propria nazione per l’avvento del regime comunista.
Ne Le Braci assistiamo al crepuscolo di un’epoca, oltre che delle singole esistenze dei protagonisti ormai vecchi e stanchi.
L’adattamento diretto da Laura Angiulli, curato da Fulvio Carise, si contraddistingue per la sobria rarefazione della messa in scena: il dramma relazionale di Konrad ed Henrik è privo d’ogni forma di patetismo ed eccesso, caratterizzato da una cifra stilistica che fa della misura il suo vessillo.
A partire dall’interpretazione di Renato Carpientieri e Stefano Jotti fino all’uso parsimonioso di musiche e luci, lo spettacolo trasmette un senso di profondo rispetto per l’opera e di estrema misura nella rappresentazione, poiché al centro di essa v’e’ già una trama lineare ma densa di piani di lettura ed interpretazione.
I quesiti che Henrik pone all’amico, scomparso per 40 anni, non troveranno risposte in quanto nella vita umana accade di sovente ciò: l’uomo si carica di quesiti senza risposte e catarsi.
Renato Carpentieri è perfetto nei panni di Henrik; nessuna sbavatura o eccesso, nel recitare il ruolo di un uomo alla fine dei Tempi per il suo universo.
Trasuda pacatezza e contegno come si conviene al personaggio di Henrik.
Stefano Jotti ha l’ingrato compito di dover reggere il confronto con un mostro sacro del teatro italiano e dona al pubblico un Konrad enigmatico e costantemente trincerato in un atteggiamento di chiusura.
Lo spettacolo, sobrio anche nella scelta dei tempi di adattamento, si regge sul dialogo/ scontro tra i due, utilizzando solo in pochi momenti delle musiche e con luci e scenografie perfette per il testo.
In scena, fino al 9 febbraio, presso il Piccolo Eliseo.
Roberto Cesano