Al Teatro Quirino di Roma va in scena la pièce L’importanza di chiamarsi Ernesto, una commedia teatrale in tre atti di Oscar Wilde, rappresentata per la prima volta a Londra al St James’s Theatre il 14 febbraio 1895.
Sotto la sapiente regia di Geppy Gleijeses, gli interpreti principali nei ruoli fondamentali della commedia sono lo stesso Geppy Gleijeses, che interpreta Jack E(a)rnest Worthing, Marianella Bargilli nel ruolo di Algernon E(a)rnest Moncrieff e Lucia Poli che impersona Lady Bracknell. Accanto a loro Orazio Stracuzzi è Lane e Merriman, Valeria Contadino è Gwendolen, Renata Zamengo è Miss Prism, Giordana Morandini è Cecily e Luciano D’Amico è Chasuble. La traduzione dalla commedia è di Masolino D’Amico, la proiezione scenica di Teresa Emanuele, i costumi di Adele Bargilli, le musiche di Matteo d’Amico e le luci di Luigi Ascione.
La trama della commedia è abbastanza complessa: il primo atto si apre in città, dove ci sono Algernon Moncrieff e Ernest Worthing, due amici di vecchia data. Il primo abita in città e il secondo in campagna, ma sovente s’incontrano. Entrambi, infatti, vivono una vita segreta: Algernon finge di avere un vecchio amico malato di nome Bunbury in campagna, mentre Ernest, il cui vero nome è Jack, finge di avere un fratello scapestrato dal nome Ernest, nome con cui appunto si presenta in città. Questo espediente permette loro di assentarsi dalle rispettive case e famiglie quando meglio credono. Jack ama Gwendolen Fairfax, cugina di Algernon, e vorrebbe sposarla. La donna ricambia il sentimento, ma nasce un problema: Gwendolen sposerà solo un uomo chiamato Ernest perché dice che quel nome le procura delle vibrazioni perchè ha un suono che scalda il cuore a sentirlo. Jack, presentatosi a lei come Ernest, cerca di convincere la donna che altri nomi sono più attraenti di Ernest, come ad esempio il suo vero nome Jack ma, al sentire quest’affermazione, Gwendolen lo deride. Inoltre la madre di Gwendolen, Lady Bracknell, dopo un colloquio con lo spasimante che sembra un interrogatorio poliziesco, è molto scioccata dal fatto che Jack sia orfano e pone un divieto al fidanzamento. La storia si complica nel secondo atto, ambientato in campagna, quando, con un sotterfugio, Algernon si presenta alla casa di campagna di Jack e si spaccia per Ernest, il fratello scapestrato di questi. Conosce e s’innamora di Cecily Cardew, la pupilla di Jack, la quale quindi è convinta di amare, anche lei, un uomo di nome Ernest.
Gwendolen, ancora invaghita e vogliosa di fidanzarsi con Ernest, raggiunge anche lei la dimora di campagna di Jack scoprendo assieme a Cecily il fatto che nè Algernon nè Jack in realtà si chiamano Ernest, dando vita a delle divertenti gag dei due uomini intenti a riconquistare il cuore delle donne amate. Queste, ormai offese, si ritirano nella villa indignate e deluse dalle menzogne degli uomini. Il terzo atto prevede l’arrivo di Lady Bracknell alla dimora di campagna di Jack, dove intima a Gwendolen di tornare a casa. Nel frattempo trova il nipote Algy (Algernon) che le comunica la sua intenzione di sposare Cecily. In un primo momento nega l’autorizzazione ma, scoperto da Jack che la sua pupilla possiede un’ingente rendita, muta la sua opinione sulle nozze. Jack tuttavia si oppone poiché Lady Bracknell si ostina a non volergli concedere la mano di Gwendolen. Dopo alcune battute si scopre che Jack in realtà è fratello di Algernon, che grazie alla poca accortezza di un’educatrice che curava la famiglia Moncrieff, era stato abbandonato in una borsa in una stazione. Scoperta la parentela Lady Bracknell autorizza le nozze. Rimane ancora la diatriba sul nome: Jack, non essendo mai stato a conoscenza delle sue origini, ha un nome che non è il suo. Lady Bracknell sostiene che gli era stato dato il nome del suo defunto padre, un generale dell’esercito, ma né lei né Algy ricordano quale fosse, quindi Jack va a scartabellare sugli elenchi militari e scopre che il nome di suo padre, e quindi anche il suo, è effettivamente Ernest. La conclusione è che nessuno dei due uomini è veramente “earnest” (onesto), né “Ernest” (in inglese le due parole si pronunciano allo stesso modo): con questo espediente Oscar Wilde ha voluto mettere in luce tutta quella cura dell’apparenza e della forma dell’alta società vittoriana.
Lo stile di recitazione degli attori non risulta per nulla farsesco e nemmeno, d’altro canto, realistico, cosi come avrebbe voluto Wilde. Gli attori si scambiano le battute con perfetta naturalezza, senza mostrare di ritenerle spiritose e senza tentare di giustificarle caratterizzandosi come eccentrici. Questa visione rende lo spettacolo molto godibile e divertente. Inoltre è da elogiare la professionalità e la bravura degli attori nel tenere sempre viva l’attenzione dello spettatore in tutti e tre gli atti della commedia, in un crescendo di sensazioni positive sullo spettacolo man mano che le scene vanno avanti, senza percepire nessun calo di tensione nel ritmo nonostante la complessità della trama. Le scene sono curate nei dettagli, così come i costumi di epoca vittoriana.
In scena fino al 16 marzo.
Giuseppe Prodomo