In scena presso il Teatro Quirino, fino al 5 novembre Medea, nella versione adattata e diretta da Luca Ronconi, pilastro del teatro italiano deceduto due anni fa, con Franco Branciarli nel ruolo della protagonista della tragedia greca.
La trama di Medea di Euripide, scritta nel V secolo a.c., possiede una complessità psicologia straordinaria che rende l’opera un capolavoro senza tempo: Medea, figlia del sovrano della Colchide, regno ubicato a oriente della Grecia, e nipote di Helios il dio del Sole, è la sposa di primo letto di Giasone, eroe greco noto per la spedizione degli Argonauti che riportò in patria dalla Colchide il Vello d’Oro proprio grazie alla futura moglie, con cui ha avuto due figli.
La famiglia risiede nella città di Corinto governata dal re Creonte, che ha deciso di far sposare la giovane figlia proprio a Giasone, previo ripudio della prima moglie e i suoi bambini condannati all’esilio.
Il sovrano teme, infatti, eventuali ritorsioni da parte di Medea, conosciuta come abile e potente maga oltre che come implacabile e dalla ferocia senza pari, e per questo è deciso ad allontanarla dalla città prima che possa vendicarsi del tradimento di Giasone su tutti loro.
La donna, colma d’ira e disperazione per l’abbandono del coniuge, affronta prima Creonte cui riesce a strappare un ulteriore giorno per prepararsi ad abbandonare Corinto e poi il fedifrago Giasone, il quale la blandisce cercando di convincerla che la decisione d’imparentarsi col sovrano è il modo più sicuro per assicurare ai loro figli un futuro migliore, quindi un atto di generosità e benevolenza.
Le parole di Giasone destano una rabbia immensa in Medea, che abbandonò la patria paterna e uccise suo fratello per amor suo, sacrificando per lui ogni cosa.
Tuttavia, l’apparizione di Egeo, il re d’Atene, di ritorno dal consulto con un oracolo le permette di strappare a questi un solenne giuramento, riguardo accoglienza e protezione in cambio d’un rimedio per la sua sterilità.
Rassicurata da tale promessa, la maga può concentrarsi sui propri propositi di vendetta che rivela alle donne di Corinto, a lei solidali per la grave offesa subita dal marito, e a cui dichiara di voler sopprimere i suoi stessi figli come atto finale.
La loro morte, per sua stessa mano, è l’unico modo per impedire che nemici passati e futuri si vendichino di lei attraverso loro e per recidere completamente il suo vincolo con Giasone.
Le donne tentano di dissuaderla, ricordandole la sua natura di madre e l’empietà di tale gesto; ma la protagonista rigetta qualsiasi argomentazione e richiama Giasone, convincendolo d’aver accettato le sue nozze e chiedendogli d’intercedere presso la futura sposa, affinchè i suoi figli rimangano con lui mentre ella andrà in esilio senza rancore.
L’uomo acconsente e accompagna i propri figli dalla futura sposa, cui Medea ha inviato una corona d’oro e una splendida veste come regalo di nozze, facendogliele consegnare dai bambini.
Quando la principessa indossa entrambe, rapita dalla loro bellezza, è vittima di un letale veleno che ne corrode le carni e fa altrettanto con Creonte, quando abbraccia sconvolto i resti della figlia.
Nel frattempo, Medea uccide i figli e, prima di partire a bordo di un magico carro mandatole dal divino nonno Helios, affronta un Giasone fuori di sé dalla collera.
La donna ha distrutto le mire al trono del marito e dopo avergli mostrato i cadaveri dei loro bambini, si rifiuta di lasciarglieli seppellire, profetizzandogli infine una morte ignobile in totale solitudine e disgrazia.
La tragedia termina con Giasone che maledice gli dei per non aver impedito tali orrori, mentre Medea trionfante si lascia alle spalle Corinto.
Le sfumature della figura di Medea sono innumerevoli, così come lo sono gli studi e le riflessioni che ella ha ispirato nel corso dei millenni.
Medea è una barbara, termine con cui i greci definivano in maniera spregiativa coloro che non erano nati nella loro terra e che ha la stessa valenza del termine gaijin usato dai giapponesi per indicare gli stranieri.
Ella è una straniera in terra straniera, signora di arti arcane e legata al mondo degli dei da pratiche e parentele; fratricida e poi matricida, si macchia di crimini verso i propri cari che simbolicamente rappresentano la fine di un ciclo: l’omicidio del fratello sancisce l’allontamento definitivo dalla terra paterna e l’uccisione dei figli la conclusione cruenta d’ogni legame con Giasone, il motivo dell’assassinio del fratello; lo ammazza per impedire che il padre riesca a raggiungere la nave degli Argonauti, in fuga dalla Colchide col Vello d’oro e ne getta i resti in mare affinchè il genitore sia distratto dal loro recupero.
A Giasone, padre dei suoi figli, nega anche tale diritto; i cadaveri dei bambini saranno sepolti in un luogo che il marito infedele non potrà mai raggiungere, impedendogli la possibilità di vivere appieno il proprio lutto.
Medea incarna il lato oscuro della Femminilità, la passione senza freni che scuote le viscere ma che sa usare l’astuzia e l’intelletto per trionfare sui suoi nemici ed è un grave errore giudicarne le terribili azioni attraverso i nostri parametri, poiché non vive in una condizione di subalternità nei confronti del coniuge.
Quando Giasone la ripudia, irretito dall’ascesa al trono, rompe un giuramento sacro fatto a una barbara per la quale la possibilità di vendicarsi di un oltraggio è più importante della maternità. Non che Medea non esiti nel trucidare la propria prole, tuttavia è un’aliena e come tale compie atti inspiegabili con la logica dei greci e di noi contemporanei.
Medea è una minaccia che incombe imminente anche sul pubblico affermava Luca Ronconi nelle sue note di regia, ed è vero: la sua vendetta incombe sulla sua famiglia intera, sulla casata regnante di Corinto, su chiunque osi contrastarla e offenderla.
Attraverso lei, Euripide compie un’analisi epocale della Donna, della sua intrinseca estraneità alla società di cui è parte solo per esserne sminuita, usata o temuta per la sua naturale connessione con il lato più misterioso ed esoterico dell’esistenza umana.
Nella visione che da Ronconi, l’allontanamento dal suo essere moglie e madre, l’assenza di pietà e la potente manipolazione che esercita su tutti gli altri personaggi della tragedia, da Creonte a Giasone fino allo stesso coro, composto dalle donne corinzie, la rendono priva delle caratteristiche stesse della femminilità.
Il suo anteporre la vendetta e la sua ferocia le profondono una manifesta mascolinità, motivo per cui il regista decise di farla interpretare a Franco Branciaroli.
Dopo oltre vent’anni, l’attore torna a vestire i panni di Medea nell’adattamento ronconiano, ripreso nella regia da Daniele Salvo: su un palco provvisto di schermi mobili, valigie accatastate che suggeriscono il tema dello straniero errante, sedie a schiera in legno da vecchi teatri di posa e una lunga rampa di scale anti-incendio e pannelli semoventi, i personaggi si muovono in un’atmosfera cupa caratterizzata da luci ora soffuse, ora forti per sottolineare il pathos della vicenda.
L’estrema cura della confenzione e l’uso dello spazio scenico d’una modernità strabiliante sono una firma stilistica di Ronconi, impreziosita da interpretazioni, ottime nella loro enfasi voluta, di un nutrito cast che si muove in scena come effettuasse una danza macabra.
Su tutti svetta, come il suo personaggio, Franco Branciaroli/Medea che fagocita letteralmente la scena, ipnotizzando il pubblico con la sua prova ricca di continui cambi di toni, gestualità ed emozioni. Istrionico e ambiguo, il protagonista ci regala una perfomance di bravura memorabile anche perchè egli recita volontariamente la parte di un uomo che interpreta un personaggio femminile.
La Medea di Branciaroli è la proiezione della visione sua e di Ronconi dell’eroina di Euripide; una rilettura affascinante e straniante di una figura basilare del nostro retroterra culturale, rivata di qualsiasi istanza femminista.
Medea è un omaggio sentito e riuscito allo scomparso Ronconi, imperdibile per gli amanti del Teatro.
Roberto Cesano