Lucrezia Lante della Rovere interpreta, fino al 13 novembre al Piccolo Eliseo, l’intenso monologo Io sono Misia- l’ape regina dei geni, di Vittorio Cielo.
La protagonista è Misia Sert una talentuosa pianista, ma soprattutto grande mecenate di numerosi artisti della Parigi tra fine ’800 ed inizio ‘900; frequentarono, infatti, il suo salotto persone come Proust, Picasso, Debussy, Renoir, Toulose-Lautrec, Coco Chanel e Diaghilev. Misia racconta la sua esperienza in prima persona: parla dei suoi amori, propone le sue riflessioni sull’arte e trasmette la sua incontenibile sete di vita, di arte, di passione in un caleidoscopio di aneddoti e ricordi. Si ritrova quindi a osservare sé stessa nei musei, specchiandosi nei ritratti che i suoi amici le hanno dedicato. Si sorprende a confrontarsi con la sua immagine che prende vita dalle pagine dei libri, si ferma a riflettere sul tempo al fianco di Proust.
È, di fatto, immortale: le numerose opere d’arte che la raffigurano fanno di lei una vera e propria musa.
Ma la Misia dei ritratti man mano si discosta dalla Misia in carne ed ossa, vittima del tempo inesorabile e della vita stessa con le sue trappole di depressione e morfina.
Lucrezia Lante della Rovere, abilissima nel padroneggiare la tecnica attoriale, ci appare come una dea greca, con la potenza di tutti gli archetipi del femminile.
Sa ricercare ogni sfumatura nell’animo di Misia e si staglia sulla scena creando con la sua esile e aggraziata figura, ammantata dai bei costumi di Alessandro Lai, dei veri e propri quadri viventi.
L’azione scenica avviene nel contesto di una scenografia essenziale, efficace e dall’inaspettata versatilità.
Il palco è occupato quasi interamente da una poltrona fuori scala, un vero e proprio trono per la regina dei salotti che inizialmente lo riempie con grazia divertita e vitale; successivamente il trono, con la sua imponenza, si trasformerà in una metafora della fragilità e inadeguatezza dell’essere umano.
La poltrona è quindi il centro del mondo nell’esperienza di vita di Misia: su di essa la donna si riposa, brinda alla vita, si nasconde, da essa trae gli oggetti di scena, incontra amici e innamorati, illuminata dagli efficaci tagli di luce opera di Pasquale Mari.
La regia di Francesco Zecca è curata nei minimi dettagli.
Il monologo, in un allestimento molto riuscito e con un’ottima interprete, scorre veloce, ci investe di suggestioni visive e stimola riflessioni sull’esistenza umana.
Da non perdere.
Giovanna Berardinelli