Si è appena concluso al Teatro Antigone di Roma Nel nome del padre di Luigi Lunari, spettacolo struggente definito dallo stesso autore una commedia sentimentale.
Avevamo da poco assistito alla messa in scena dello stesso testo al Teatro Quirinetta con l’interpretazione di Margherita Buy e Patrik Rossi Gastaldi, ma quella portata in scena dalla Compagnia riflessa in uno specchio scuro è un lavoro completamente diverso. Sul palcoscenico del teatro di testaccio non c’erano dei leggii, non si trattava di un reading, ma di un lavoro più complesso. Il regista Stefano Mondini si è servito di una scenografia semplice: un tavolo, due sedie, una poltrona e due valige cariche di angosce, di ansie, piene di un passato che ha segnato i due protagonisti: Aldo e Rosemary.
Un uomo e una donna diversi in tutto ma dannatamente simili. Ad accomunare i due personaggi un passato fatto di lacerante sofferenza causata dall’essere figlio di. Non si tratta di figli d’arte ma di figli di uomini potenti nel caso di Rosemary e di uomini determinati come il padre di Aldo, entrambi ambiziosi. La loro identità ci viene svelata man mano che le lancette di un tempo non ben definito scorrono. Non si tratta di due ragazzi comuni ma di Rosemary Kennedy e di Aldo Togliatti. Figli di padri ingombranti che, a causa delle loro ambizioni, hanno definitivamente distrutto le vite dei figli. Il vecchio Kennedy, padre del celebre presidente degli Stati Uniti ucciso nell’attentato a Dallas, è riuscito a stravolgere il destino di Rosemary sottoponendola ad una lobotomia che portò la sua vita ad uno stato vegetativo. Molto probabilmente, secondo alcune testimonianze recenti, tra cui quella della governante, Rosemary era soltanto dislessica, ma il padre la riteneva disabile, quindi un ostacolo per la carriera dei tre figli maschi. Prese la terribile decisione di farla lobotomizzare. La donna trascorse i suoi ultimi giorni accudita dalle suore di un convento. La vita di Aldo Togliatti è stata invece segnata dalla figura di un padre preso dapprima dalla passione per la politica, poi per una donna per la quale ha lasciò il figlio e suo moglie. Aldo ha passato gran parte della sua vita in una clinica psichiatrica a causa della schizofrenia e solo nel 1993 si è avuta notizia della sua esistenza in Italia, precedentemente tenuta nascosta all’opinione pubblica. Questi due esseri, così profondamente permeati da un dolore che ha scavato lentamente dentro la loro vita, si incontrano idealmente in uno spazio non ben definito, un limbo, un purgatorio e iniziano a raccontarsi le loro vite cercando disperatamente un sollievo e un momento di catarsi dall’ inesorabile crudeltà che li ha schiacciati. Nel finale, armonioso e rassicurante, si incontrano in un’unione che darà pace ad entrambi nell’addormentarsi nella morte sulle note di una inconsueta ninna nanna.
Un testo complesso, che oseremmo definire psicologico. Un testo che tocca l’anima grazie anche all’interpretazione di Stefano Persiani e Maria Giordano che regalano al pubblico un’ora e venti di emozioni. Una nota di merito va data indiscutibilmente a Persiani che riesce con naturalezza a cambiare registro. Nei flashback con i quali Mondini getta uno sguardo nel passato della vita dei due, Persiani spicca per la sua straordinaria capacità interpretativa. Con la maestria di un grande professionista, l’insicurezza di Aldo si trasforma nell’autorità ora di Kennedy ora di Palmiro, per ritornare poi nei panni di Aldo. La regia di Mondini risulta essere pulita, delicata, elementi che, a nostro avviso, sono essenziali per la riuscita del lavoro che ci auguriamo venga riproposto in altri spazi, per emozionare ancora, per non dimenticare, per imparare.
Filomena Zarrelli