Nel Nome del Padre @ Teatro Quirinetta – Roma

Rosemary e Aldo sono confinati in una stanza dall’arredamento piuttosto scarno; i due paiono conoscersi e sapere il motivo della loro presenza in tale luogo. Aldo, di origine italiana, inizia con apparente serenità a parlare della sua vita e a porre domande personali alla donna, una statunitense molto riservata che ha degli scatti nevrotici di fronte alle curiosità dell’uomo, per poi calmarsi repentinamente.

Inizia così un fitto dialogo-confessione che si incentra sul loro passato e sul rapporto con i reciproci padri, figure-chiave nella vita di entrambi.
Rosemary è l’erede di un potente magnate d’origine irlandese, il quale ha costruito la propria fortuna negli Stati Uniti dal nulla e generato nove figli; mentre Aldo è nato dall’unione di due militanti comunisti, che si sono spostati dalla Spagna alla Russia per poi far ritorno in Italia, dove il padre è diventato un membro di prim’ordine del Pci con la caduta del Fascismo.
Due esistenze apparentemente antitetiche e inconciliabili ma che invece sono molto più speculari di quanto appaia: Aldo e Rosemary sono vittime della Storia e delle ambizioni di uomini che li hanno sacrificati sull’altare del potere e dell’ideologia per poi abbandonarli ad un’alienante solitudine. La donna era membro della famiglia Kennedy, sorella misconosciuta dei celebri John e Robert, morta in una clinica psichiatrica molto dopo il padre ed i fratelli. Invece Aldo era l’unico figlio di Palmiro Togliatti, segretario storico del PCI, che lasciò la famiglia per amore della collega di partito, Nilde Iotti, destando gran scandalo tra i comunisti italiani e l’intera società del tempo.
Il Togliatti figlio fu poi vittima di un disturbo psichico e trascorse la propria esistenza in un manicomio, lontano dalla nuova famiglia di Palmiro.
Una coppia di sconfitti che ha conosciuto l’esilio negli ospedali psichiatrici, ma con una notevole differenza: Aldo, persona colta ed avido lettore, si dichiarò inadatto alla vita e si auto-relegò in ospedale, come atto di sfida verso l’autorità paterna. La Kennedy fu internata e lobotomizzata per volere del padre, imbarazzato dalle sue stranezze e deciso a proteggere il prestigio dei figli maschi da qualsiasi potenziale minaccia.
La stanza che condividono non è che un limbo metafisico dove le due anime affini hanno ottenuto una catarsi dal loro stesso incontro, riuscendo finalmente a liberarsi del dolore provato in vita grazie ad una comunione spirituale tra loro.

Nel nome del padre è un’intensa parabola esistenziale, condotta attraverso la famiglia Kennedy e Palmiro Togliattti, icone del secolo trascorso la cui storia personale si attorciglia con vigore alla Storia con la maiuscola in una spirale di splendori ed orrori.
I Kennedy aprirono l’epoca della Nuova Frontiera Americana con John e Robert, la cui carriera politica fu fortemente voluta dal patriarca Joe Senior, mentre Togliatti rappresenta uno degli esempi più alti di carriera politica e motivazione ideologica del Novecento italiano. Tuttavia in entrambi i casi, le vite sfortunate di Rosemary ed Aldo pesano come peccati incancellabili di cui, difficilmente, si trova traccia nei testi storici canonici. Eppure l’eterogenea coppia difende spesso con passione le decisioni paterne, le giustifica con tenerezza ed un amore discreto tanto in vita quanto nella morte.

Il testo di Luigi Lunari equipara la sete di potere di Joe Kennedy Sr alla lotta politica di Palmiro Togliatti- un ‘equiparazione riuscita vista anche la similarità dei destini dei loro eredi- toccando alcuni dei temi più importanti del XX secolo: la figura del Padre, la grande Autorità ideologica ed etica, che si frantuma nella società post-moderna; la nevrosi, male oscuro dei nostri tempi e l’incomunicabilità generazione. L’esistenza dei due protagonisti diviene una metafora che ci coinvolge tutti, messa in scena con sobrietà ed empatia.

Patrick Rossi Gastaldi è uno straordinario Aldo a cui dona mille, differenti ,sfumature; dalla logorroica timidezza alle battutine pungenti rivolte alla sua interlocutrice. Margherita Buy ha una presenza scenica dal fascino pudico ed al contempo magnetico; il monologo relativo alla lobotomia di Rosemary è uno dei picchi dell’opera, generando nello spettatore una tenera, dolciastra disperazione per l’orrenda situazione vissuta dalla donna. La coppia di attori brilla in questo spettacolo concepito come reading teatrale, attraverso una lettura del testo che accompagna nei microcosmi dei protagonisti, nelle loro emozioni e nei ricordi d’un passato lontano ma ancora ingombrante. Ad accentuare la finezza interpretativa vi sono una regia e delle musiche discrete ed una scenografia essenziale, tesa a restituire attraverso lo spazio e l’oggettistica l’atmosfera retrò e sospesa del limbo oltretomba in cui i personaggi si sono conosciuti.

In merito a questo, risulta molto interessante la citazione dell’opera teatrale La porta chiusa di Jean Paul Sartre: in tale pièce lo scrittore francese faceva incontrare dei personaggi, sconosciuti tra loro, in una sorta di purgatorio e la forzata convivenza , li rendeva consapevoli che quello fosse l’inferno, poichè L’inferno sono gli altri nella visione di Sartre. Ne Nel nome del Padre, al contrario, vince il confronto, l’unione nella quale Aldo e Rosemary possono finalmente appartenere solo a se stessi , in grado di amarsi per ciò che sono e non per le mancate aspirazioni paterne.

In scena presso il Teatro Quirinetta sino al 26 febbraio.

Roberto Cesano