Il regista Leo Moscato ha mosso i primi passi nel teatro proprio nella compagnia teatrale dell’amato Luigi De Filippo ed ora ne eredita la direzione artistica e comincia questo nuovo corso proponendo la commedia scritta da Peppino De Filippo Non è vero, ma ci credo al Teatro della Cometa di Roma. Peppino De Filippo la scrisse prima che i tre fratelli De Filippo smettessero di collaborare e venne inserita tra le novità della stagione 1942/43. Si trattava di un pezzo brillante ambientato, più o meno, nella società borghese degli anni Trenta che, facendo ridere grazie alle strane manie del protagonista, tipico personaggio della commedia dell’arte o macchietta napoletana, non recava disturbo alla censura fascista.
Il titolo originale sembra fosse diverso, Gobba a ponente, ma venne cambiato dopo pochissimo tempo in quello attuale. A tal proposito, Luigi De Filippo, figlio di Peppino, raccontò l’aneddoto secondo il quale Peppino cambiò il titolo sospettando che portasse sfortuna citare la gobba, visto che per ben due volte si dovette rimandare la prima per lo squillo della sirena dei bombardamenti nell’ottobre del 1942 a Genova.
Il regista, pur rispettando i canoni della tradizione del teatro napoletano, riesce a dare alla commedia una taglio più contemporaneo, ambientando l’azione agli anni ottanta e snellendo il susseguirsi della storia, con cambi di scena a vista e con un ritmo incalzante che fa divertire tutto il pubblico in sala e lo rende partecipe sempre di più nel corso della rappresentazione.
La vicenda ruota intorno al protagonista, Gervasio Savastano, interpretato da un grandioso Enzo De Caro, imprenditore avaro e tremendamente superstizioso, convinto che la sfortuna esista e che possa condizionare il destino di tutti gli uomini. La sua fissazione rende di fatto la sua vita un inferno, preoccupato come è di ogni potenziale segno funesto e intento ad imporre a tutti, dipendenti e familiari, improbabili scongiuri e riti di buon augurio. La moglie Teresa, interpretata da una strepitosa Lucianna de Falco, e la figlia Rosina, interpretata da Fabiana Russo, sono stanche dalle strampalate idee di Gervasio e i dipendenti sono costretti a tollerare le manie ossessive del commendatore, che arrivano al ridicolo quando impedisce alla figlia di frequentare il ragazzo che ama perché, secondo i parametri paterni, è presagio di sventure e quando licenzia l’impiegato Malvurio solo perchè ritenuto un menagramo, non curandosi della minaccia di una denuncia per diffamazione. Ogni cosa, seppur banale, lo manda in crisi, fino a che l’annuncio per la ricerca di un nuovo ragioniere da assumere attira nel suo ufficio il giovane Alberto Sammaria, interpretato da un bravissimo Giuseppe Brunetti, intelligente e preparato, ma soprattutto gobbo e, quindi, notoriamente un portafortuna. Naturalmente Gervasio lo assume immediatamente, con uno stipendio da capogiro, e da qui parte una serie di eventi paradossali ed esilaranti che vedranno al centro della vicenda la credulità del povero commendator Savastano. Il giovane Alberto si innamora di Rosina e vuole lasciare il suo lavoro, quindi il commendatore farà di tutto per convincere sua figlia a sposarlo pur di non perdere il suo tanto cercato portafortuna. Al momento del matrimonio, però, Gervasio viene colto dai rimorsi, Rosina deve essere felice e poi, cosa accadrebbe se i futuri nipoti nascessero con delle deformità? Sarebbe proprio il padre il responsabile! Il colpo di scena finale riporterà la pace sulla scena e solleverà Gervasio dai suoi dubbi e lo farà dubitare dell’esistenza della iella, ma solo per un attimo, perché le radici della superstizione non sono state completamente estirpate.
Enzo De Caro è magistrale nel rendere il suo personaggio gretto, isterico e sempre teso con i suoi movimenti quasi costanti, soprattutto dei piedi e delle gambe, come fossero tic nervosi divertenti quanto irritanti. Degno di nota anche Giuseppe Brunetti, interprete del gobbo Sammaria, che si distingue dalle caratterizzazioni più ilari dovendo incarnare una figura romantica, introversa, ma anche intrisa di molte note ironiche e drammatiche.
Molto efficaci le scene di Luigi Ferrigno assieme al disegno luci di Pietro Sperduti: un cielo di nubi e di ombrelli ricopre tutto il palcoscenico schiarendosi o oscurandosi al ritmo degli accadimenti atmosferici esterni dovuti alla buona o cattiva sorte.
Uno spettacolo da non perdere che accompagna lo spettatore con battute divertenti e con un riuscito e ben orchestrato ritmo, come solo la commedia d’arte riesce a regalare e che mette al centro il diritto alla felicità, che spiega tutto e che riesce a far ragionare anche chi è preda di sciocche credenze.
Assolutamente da non perdere, fino al 12 Gennaio.
Claudia Belli