Questi fantasmi! @ Teatro Argentina – Roma

In scena al Teatro Argentina di Roma il capolavoro di Eduardo De Filippo Questi fantasmi!, portato in scena dalla Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi, e per la regia di Marco Tullio Giordana. Si tratta della prima produzione Elledieffe che non vede alla sua prima rappresentazione Luca De Filippo, scomparso tre anni fa, lasciando, come accaduto sin dall’allestimento precedente (Non ti pago!), il ruolo di protagonista maschile ad un altro attore partenopeo di razza quale Gianfelice Imparato e nominando Carolina Rosi, vedova di Luca, direttrice di questa compagnia e moglie del protagonista sulla scena. Carolina Rosi interpreta Maria e recita con la passione che solo un membro della famiglia De Filippo riesce a regalare, mentre Gianfelice Imparato fornisce un’interessante connotazione al personaggio di Pasquale, perdutamente innamorato di sua moglie, ma anche viziosamente dipendente dalle ormai consuete mazzette che è abituato a ricevere dagli spiriti che infestano la casa.

Marco Tullio Giordana, uno dei registi teatrali e cinematografici più validi sul panorama italiano, si attiene alle dettagliate note della drammaturgia di Eduardo, cercando di calibrare attentamente quel sottile equilibrio tra la comicità del testo, specie nella parte iniziale, e la successiva drammaticità in seguito all’apparizione dei presunti fantasmi. La lettura del regista regala al testo una forte connotazione femminile, incentrata sulla figura di Maria, una donna forte e determinata, artefice del suo destino, logorata dal desiderio di uscire dalla messinscena allestita solo per abbindolare il povero protagonista, ma tentata dal continuare a vivere così pur di incontrare il suo amante, Alfredo Marigliano, interpretato da un bravissimo Massimo di Matteo. Degna di nota è anche la scena della sorella del portiere, la cui pazzia, di solito rappresentata quasi come un siparietto comico, qui si fa drammatica rievocazione di uno stupro subito, eppure senza tradire il testo originario, che lascia tante strade aperte sia al regista che allo spettatore: forse è proprio questo uno degli elementi più incredibili che contribuiscono a fare grande la drammaturgia eduardiana.

Gianni Carluccio ricrea, attraverso scene e luci molto ben orchestrate, un tradizionale attico partenopeo, appena ristrutturato, con il famoso balcone dal quale Pasquale Lojacono, definito nella drammaturgia anima in pena, disquisirà a riguardo del caffè con l’anima utile del professore Santanna. Questo invisibile ma fondamentale personaggio, simpaticamente dipinto da Eduardo come perennemente affacciato al suo balcone dirimpetto all’infestata casa di Pasquale, parte di quello spirito che tutto vede e tutto sa, ma non parla, non compare, non si pronuncia e non dà giudizi, perché è lo spettatore per Eduardo che decide a chi dare ragione e a chi dare torto, fino a che punto Pasquale è innamorato della moglie tanto da non vederla scappare o piuttosto cerca altro denaro per realizzare i suoi progetti personali.

I continui scarti narrativi faranno cambiare di continuo opinione sul protagonista, mostrandolo a tratti vittima inconsapevole del tradimento subito e subito dopo causa del suo stesso male. Per tutti i tre gli atti della commedia, lo spettatore non farà che domandarsi se ai fantasmi Pasquale ci crede davvero o se gli fa comodo così. E resterà col dubbio anche dopo l’ultima scena in cui il Professor Santanna cerca di rassicurarlo dicendogli che il fantasma non è sparito ma potrebbe ancora tornare sotto altre forme. Con il suo “Speriamo!”, Pasquale esprime tutta la disperazione della sua vacua esistenza, la folle avidità che lo ha accecato e lo condanna a chiedere conforto, non solo economico, nella bugia, tanto da impedirgli di accorgersi che la moglie lo ha ormai abbandonato.

Tutti gli interpreti sono bravissimi e molto convincenti, espressione di quel teatro fatto di sudore e di impegno, di emozioni vissute sul palcoscenico, regalando allo spettatore parole di un testo senza tempo e facendolo sentire parte di quella scena, come se veramente visitasse quel palazzo e ne respirasse l’atmosfera.

Uno spettacolo emozionante, una perla di Eduardo che si erge a faro della drammaturgia novecentesca, in cui a farla da padrona è l’emozione, il sorriso di una battuta finale con in scena contemporaneamente la commozione di un addio senza parole. È questo Eduardo, con le sue morali e le sue sarcastiche descrizioni, è piangere ridendo e ridere piangendo di quell’insondabile e inspiegabile materia umana che rappresentiamo e che ci circonda.

Assolutamente da non perdere, fino al 6 gennaio al Teatro Argentina.

Claudia Belli