Ragazzi di vita @ Teatro Argentina – Roma

ragazzi_vita_wh2Ragazzi di vita ha rappresentato per Pasolini l’inizio della carriera di romanziere, poeta e traduttore apprezzato lo era giò prima del 1955, ed in qualche modo un funesto presagio della sua morte vent’anni esatti dopo.

Nel suo romanzo d’esordio, l’artista descrisse la fauna umana di una Roma post-bellica all’inizio del boom industriale: una gioventù avida di vita, immersa nella miseria delle periferie della Città Eterna, ma pronta a lambirne le zone storiche, gli argini del Tevere ed ogni altro luogo della metropoli, in cerca di avventure e desideri da realizzare, anche in modi criminosi.

Il Corpo è al centro della narrazione pasoliniana: carne e muscoli giovani tesi nella corsa per le vie cittadine dopo un furto in tram, in mostra nei luoghi dove vendersi a solitari omosessuali; corpi guizzanti e bagnati in improvvisate stazioni balneari sul Lungotevere o sulle spiagge d’Ostia; ma anche cadaveri, rimasugli di un cammino breve ed inconsapevole vissuto in un ghetto enorme.

Vita e morte, desiderio e negazione, raziocinio e viscere,  Ragazzi di vita cela in sé tutte le luci ed ombre della poetica di Pasolini, assieme alla sua ossessione per tali giovani corpi; l’attrazione fatale verso creature mosse da bisogni immediati e quasi animaleschi nella loro ferocia, ritratte anche con tenerezza.

L’adattamento, diretto da Massimo Populizio e scritto da Emanuele Trevi, in scena al Teatro Argentina, punta proprio sulla fisicità dei personaggi pasoliniani: un numeroso gruppo d’interpreti giovanissimi calca il palcoscenico, in uno spettacolo scandito in capitoli, dopo che nel prologo un accaldato Lino Guanciale, una sorta di voce narrante ed osservatore esterno, si lancia in un monologo su una Roma abbacinata dal sole; sono tutti in mutande bianche intenti a lanciarsi da uno scivolo nello sporco Tevere, spavaldi e rissosi tra loro, sguaiati nel linguaggio quanto elettrizzati dallo svago.

Il Riccetto, Alvaro, Agnolo, il Begalone, la corpulenta Nadia, Amerigo e tanti altri sono protagonisti dei vari capitoli dello spettacolo col loro romanesco colorito, randagi che vagano per la città alla perpetua ricerca di qualcosa, sia esso un film al cinema, un po’ di sesso o furtarelli e rapine per svoltare qualche lira.

Cantano e danzano melodie del tempo in un’atmosfera onirica d’una Roma ormai defunta, di cui il friulano Pasolini divenne profondo conoscitore, poiché come i suoi personaggi egli visse la capitale dalle borgate fino allo scintillio dei quartieri più vecchi ed agiati e ne seppe cogliere sfumature e contraddizioni.

L’adattamento teatrale esplode letteralmente di quest’ingarbugliata vitalità pasoliniana e la restituisce agli spettatori in un’ora e quaranticinque minuti d’un’opera corale e variegata, densa d’ironica leggerezza e d’un profondo senso di tragedia.

Al funerale d’un adolescente criminale, morto pur di non andar in galera, segue l’incontro del Riccetto ed altri due con la formosa e scontrosa Nadia, che dispensa sesso sui lidi di Roma; come scrivevamo sopra vita e morte si confondono con naturalezza e senza costrizioni.

Non v’è posto per il biasimo né in Pasolini né nella drammaturgia di Trevi, come ben dimostra l’episodio del frocetto cinquantenne che vorrebbe appartarsi col Riccetto, ma dovrà accontentarsi dei due marchettari mentre il ragazzo va via, dopo averli condotti per strade appena costruite e campi a cielo aperto in piena città, quasi fosse una sorta d’avventura iniziatica e giocosa.

Poichè Roma è somma protagonista di  Ragazzi di vita quanto i ragazzi di borgata, descritti dallo scrittore: essa è la culla, il ventre stesso di queste esistenze prive d’indirizzo e significato, li trattiene in sé e li espelle solo ammazzandoli.

Un plauso al talento di Trevi e di Popolizio che riescono nel, non facile, compito d’adattare per il palcoscenico un testo importante e definitivo nell’anno che celebra il primo quarantennale senza Pasolini del Belpaese.

Popolizio dirige sapientemente un nutrito cast di attori giovani e capaci, coadiuvato dalle luci di Luigi Biondi e dalle scenofrafie di Marco Rossi, cui si deve una buona arte del fascino dello spettacolo.

Intenso Lino Guanciale nel ruolo dell’osservatore, il quale si confonde tra i ragazzi di vita in una sorta di ruolo di narratore, specchio di quello che fu lo stesso Pasolini. Come l’artista, Guanciale è rapito dai vari personaggi, affascinato dalle loro gesta e dagli intrecci dei loro destini.

Un omaggio sentito e riuscito ad uno dei più grandi pensatori ed artisti che l’Italia abbia avuto, la cui coscienza civile oggi manca più che mai.

In scena sino al 20 novembre al Teatro Argentina.

Roberto Cesano