La relazione tra uomo e Potere è uno dei temi cardine del teatro di William Shakespeare, declinata dal bardo in tutte le sue accezioni e sfumature ed Riccardo III è, in tale ambito tematico, una delle sue opere più rappresentative: la sanguinaria ascesa al trono d’Inghilterra del deforme Riccardo, fratello del sovrano reggente, rappresenta infatti una parabola spietata sulle dinamiche della conquista del potere e sui costi d’essa, in termini umani.
Fratello del re Edoardo IV d’Inghilterra, Riccardo di Glouchester ambisce a spodestarlo attraverso un piano crudele e perverso, che mieterà un alto numero di vite, tra cui quelle del fratello minore ed i nipoti del cospiratore.
Il talento dell’uomo sta nel dissimulare pienamente le proprie reali emozioni e volontà, manipolando il prossimo per i propri fini: accade, così, che egli convinca la nobile Anna, cui ha trucidato suocero e marito- rispettivamente sovrano ed erede al trono della casata dei Lancaster, spodestata dagli York di cui Riccardo è rappresentante- a sposarlo nonostante tale crimine, l’avveduto conte di Hastings della sua presunta incapacità a mentire e il re Edoardo ad imprigionare Giorgio, il loro fratello minore, che avrebbe potuto reclamare il trono in caso di dipartita del regnante e dunque ostacolarlo nella sua scalata regale.
La tela tessuta dall’uomo, un vero e proprio predatore simile ad un ragno o un serpente, lo condurrà a divenire sovrano ma anch’egli sarà spazzato via dagli eventi e forse dalla maledizione dell’ex regina Margherita, la vedova del re Lancaster la quale, in uno dei momenti più alti dell’opera, inveisce contro gli York e lo stesso Riccardo, satura d’una livida rabbia e sete di vendetta in un augurio di atroce sofferenza per tutti loro.
Alla conclusione della tragedia, il malvagio protagonista perisce sul campo di battaglia per mano del conto di Richmond, il futuro Enrico VII, dopo aver ricevuto in sogno la spaventosa visita di tutte le sue vittime, in una sorta di funesto presagio della sua dipartita cruenta.
Quarta e conclusiva parte della tetralogia di Shakespeare dedicata alla storia inglese, dopo le prime tre opere dedicate ad Enrico IV, ed imperniate sulla celebre Guerra delle due rose tra gli York e i Lancaster, la quale gettò le basi per l’ascesa della dinastia dei Tudors, cui appartengono Enrico VIII ed Elisabetta I, l’opera è un affresco corale con numerosi personaggi realmente vissuti su cui svetta, in tutta la sua perfidia, Riccardo.
La sua sete di potere è priva di scrupoli e pentimento, una sorta di folle corsa verso la meta fine a se stessa: Riccardo è un uomo deforme, poco amato dalla madre consapevole della natura della sua prole, incapace di provare sentimenti d’amore e mosso esclusivamente dal desiderio di essere artefice e padrone del proprio ed altrui fato. La sua è una visione nichilista e feroce dell’esistenza, imprigionata in un ciclo infinito di sopraffazione e lotta contro gli altri.
Il testo shakespeariano è lungo e fitto, dovendo costituire la fine di un’ambiziosa prova artistica, denso di un’ambiguità dialettica e d’inquietudini; pochi autori sanno rendere l’orrore del baratro dell’animo umano come lui, in uno stile epico e barocco, potente ed evocativo.
L’adattamento in scena al Globe Theatre Roma, scritto e diretto da Marco Carniti ha un compito alquanto impegnativo, ovvero portare in scena uno dei testi più complessi e corposi- anche in termini di durata, secondo solo all’Amleto– nella suggestiva cornice della riproduzione dello storico teatro londinese.
Il risultato è uno spettacolo di forte impatto visivo grazie alla riuscita della parte scenica, trattata con certosina attenzione, roboante e coinvolgente.
La regia esalta i movimenti dei singoli interpreti e le coreografie corali, con protagonisti soldati vestiti da schermidori, grazie anche alle musiche curate da David Barittoni, che ha scelto d’inserire brani di Giusee Verdi adattissimi alle atmosfere cupe e forti della pièce, ai costumi di Maria Filippi, motivo di vanto dello spettacolo per la loro bellezza, frutto d’una sapiente miscela di riferimenti all’epoca storica del testo e postmoderno, e alle luci estremamente denotative di Umile Vaineri.
La confezione dell’opera è estremamente curata, attrae lo spettatore e lo avvince per tutta la sua durata, mentre per quanto concerne il cast invece v’è una sorta di discordanza recitativa tra i vari interpreti, alcuni enfatici- anche in maniera alquanto estrema- mentre altri impegnati in un’interpretazione più sobria; tuttavia questa mancata omogeneità recitativa è sopperita dalla bravura di interpreti come Melania Giglio, una regina Margherita imbevuta d’un odio febbrile e temibile, e dall’assenza d’enfasi della perfomance di Maurizio Donadoni nel ruolo di Riccardo, scelta riuscita vista la natura del personaggio, già particolarmente contorta e sopra le righe.
In scena presso il Globe Theatre fino al 15 settembre, dal martedì al sabato alle 2.5 mentre la domenica alle 18.00.
Roberto Cesano