Uno spettacolo coraggioso ed emozionante al Teatro Trastevere, un intenso viaggio nel mondo poetico e interiore di Alda Merini, che si è spenta due anni fa e la cui storia è segnata dal dolore e dal manicomio. Uno spettacolo vibrante e commovente, tratto dal racconto omonimo pubblicato dalla protagonista nel 1990, un vero viaggio che attraversa l’anima.
Elisa Pavolini, autrice ed interprete unica, ci racconta con pathos vibrante tutti i tormenti interiori, i desideri, le emozioni che emergono così magistralmente dalle opere di una delle poetesse più rappresentative del nostro secolo.
Il Ritratto di Signora – Tormento delle Figure ci restituisce tutta la complessità della donna e dell’artista, riuscendo a soffocare il tema della presunta pazzia che ha, nel tempo, contribuito a costruire intorno ad Alda Merini l’immagine stereotipata di donna ai margini della società. Naturalmente il tema affiora comunque, grazie ai numerosi passi ripresi dalle Lettere al Dottor G., indirizzate allo psichiatra Enzo Gabrici che la tenne in cura negli anni, ma il vero motivo conduttore dello spettacolo, quello che ci conquista nella sua forza, è l’amore o, meglio, gli amori di Alda, fonte di tutti le emozioni ma anche di tutti i tormenti evocati dal titolo.
Elisa Pavolini parla al pubblico seguendo il flusso di coscienza della poetessa scomparsa , procedendo a frammenti, proprio come succede con i ricordi, rievocando gli amori incompiuti, immaginati, imperfetti e incompresi, la generosità della donna nei confronti degli uomini che ha stretto a sè, dando voce al loro bisogno infantile di essere amati, le passioni vissute così intensamente da arrivare inesorabili al cuore.
Quel tormento emerge nella magistrale recitazione, nella messa in scena curata dal regista Mario Schittzer, nell’illuminazione contrastata del palcoscenico, nell’abile cambio di abito continuo, quasi a rievocare quel liberarsi e riappropriarsi dei dolori vissuti, e, persino, nella somiglianza fisica e nella potenza della voce di Elisa Pavolini, che intona anche qualche strofa di alcune canzonette sentimentali degli anni 30 e 40.
E così il palco si trasforma in una insieme di fotogrammi in cui si avvicendano le stagioni della vita, il rapporto con il marito, la permanenza in manicomio, l’aspirazione alla libertà, il talento puro e innegabile di una donna e poetessa complessa e affascinante. Il racconto di una mente incompresa e spaventata ma incredibilmente vivace, di una donna psicologicamente fragile e perennemente affamata di amore, come se questo possa essere al tempo stesso una salvezza ed una dannazione.
Elisa Pavolini ci regala dal canto suo una recitazione appassionata ed una mimica eccezionale, con dei tempi recitativi che rasentano la perfezione, si appropria del palco e dell’attenzione dello spettatore come fosse davvero immersa in un intimo percorso interiore. Ci arriva così un personaggio speciale, che spera nel futuro, che non è la donna disperata intrappolata nell’immaginario del distratto pubblico televisivo, ma la vera donna appassionata alla ricerca del suo posto e della sua parte di amore.
“I miei amori cominciano nei tempi futuri. I veri amori sono dei sogni, sono delle invenzioni, sono dei parametri di poesia. Se questo o quell’altro uomo siano veramente esistiti, se abbiano toccato la mia carne, questo è un fenomeno secondario”. Frasi lapidarie che chiudono lo spettacolo fornendo un sunto calzante del mondo sentimentale di Alda Merini, così come Elisa Pavolini la vede.
In scena è protagonista l’amore libero e sfrontato che la scrittrice ha incarnato nella sua vita, la forza dionisiaca, il desiderio, la passione: “È molto più peccaminoso lo spirito del corpo” e “Niente è più peccaminoso della castità”, versi di una donna che incarna l’archetipo del femminino, che è in netto contrasto con lo stereotipo della donna, sia quella d’un tempo, protagonista della repressione anni ’50, sia quella di oggi, così ossessionata dal “velinismo” e la giovinezza.
Il messaggio è chiaro per chi lo vuole ascoltare: l’amore è un sentimento così totalizzante e sacro da accogliere al suo interno anche il lato oscuro dell’anima, senza possibilità di scindere i due estremi. “I miei amori sono stati profondi come la morte”, questa frase racchiude tutta lo spessore concettuale dell’idea meriniana di Amore. Questo sentimento emerge nella sua fisicità attraverso le ecchimosi, i lividi, ed è lui a segnare nel profondo la scrittrice, più che le dolorose esperienze psichiatriche, proprio per la sua natura assoluta: “Io non sono stata marchiata dal manicomio, ma dall’amore”.
Insomma uno spettacolo da non perdere ed una attrice bravissima e appassionata, diretta magistralmente.
Claudia Belli