E’ terminato domenica 20 maggio al Teatro Antigone di Roma Settimo Piano Interno 22 un emozionante spettacolo scritto da Annalisa Rossi. L’avevamo vista dirigere e recitare nello spettacolo La Cerimonia uno dei testi più surreali di Giuseppe Manfridi ed ora, dopo circa due anni, la troviamo come autrice di un testo che lascia molto spazio alla riflessione.
Tre storie diverse, ad accomunarle vari elementi.
Un appartamento nel centro di Roma; un numero, il ventidue; il dramma di vite spezzate all’improvviso.
Ma partiamo dall’inizio. A fare da cornice a questa storia è il Teatro Antigone che apre il sipario a cinque bravi attori. A condurre per mano lo spettatore è una divertente e simpatica portiera che parla al pubblico come se fosse l’ipotetico acquirente dell’appartamento in vendita. È lei che lancia il messaggio più forte “guardatevi intorno perché ci sono tanti personaggi” in effetti non si tratta solo di tre storie ma di tante vite quanti sono gli spettatori in sala. Ognuno, infatti, si può rivedere nei gesti e nei pensieri dei personaggi.
Un appartamento che non riesce ad essere affittato perché ogni ventidue anni in quel posto accade qualcosa di tragico. Annalisa Rossi viaggia ritroso e fa partire la storia dal 2010 quando un uomo, interpretato da un bravo Sergio Mandato decide di togliersi la vita. Il motivo? L’incapacità di essere invisibile in una società che sempre più basata sull’egocentrismo e sulla notorietà. Nel 1988, invece, a togliersi la vita furono due sorelle. Carmela Giannella e Tina Agrippino danno il volto a due donne vittime di un incidente. Un politico e la sua scorta travolsero la loro macchina. Le conseguenze furono drammatiche: genitori deceduti, una di loro paralizzata nel corpo, l’altra nell’anima. Si perché la rabbia, la non rassegnazione spingerà quest’ultima a gesti incontrollati fin quando entrambe decidono di spiccare il volo e rimanere unite per sempre. La terza storia, quella più comica, riguarda un operaio della Sip che nel lontano 1966 si reca nell’appartamento per aggiustare il telefono. Il simpatico personaggio, portato in scena da un esilarante Lino Pietroni, viene colto da malore muore non dopo aver ricevuto una telefonata da Dio che gli annuncia il suo destino futuro: diventare un angelo per salvare altre vite. Un lavoro di quasi due ore, intenso, profondo che entra nell’anima e conduce alla riflessione.
Le musiche di Claudio Rosati, scritte apposta per lo spettacolo, accompagnano e seguono l’iter delle emozioni scatenate dal testo. Un viaggio nella storia dell’Italia: “mi sono ritrovata a fare i conti con una comune visione dell’esistenza, del valore della vita, di uno sbigottimento di fronte al declino di noi italiani, intesi come somma di individui un tempo solidali e ingenui, poi ribelli e forse illusi, oggi monadi, immersi nella solitudine e nell’indifferenza reciproca” spiega l’autrice nelle note di regia. Uno spettacolo che solo apparentemente parla della morte. Dietro questo lavoro c’è un messaggio profondo: “La morte è il nostro comune momento di verifica ed anche la chiave che, aprendo la porta di una nuova vita in un aldilà inconoscibile, chiude dietro di noi un’altra porta: quella di una esistenza nel mondo della materia, ormai risolta nei suoi molteplici e forse inutili perché”.
Marina Orlando