Peter Brook e Marie-Hèlène Estienne presentano, in anteprima nazionale in Italia, The Prisoner presso il Teatro Vittoria, all’interno della rassegna RomaEuropa Festival.
Una donna occidentale si reca in viaggio in una nazione orientale, alla ricerca di risposte sull’esistenza; durante tale viaggio conosce Ekzekiel, un uomo considerato illuminato e saggio, che le chiede di recarsi a trovare suo nipote Mavuso, il quale sconta una lunga pena per un crimine inenarrabile su una collina, di fronte a una vecchia prigione.
Ekzekiel stesso ha scelto la punizione per il ragazzo, nonostante il parere dell’altra nipote Nadia, – sorella di Mavuso – per consentigli d’intraprendere un reale processo di comprensione della propria colpa e di redenzione da essa.
The Prisoner è una sorta di fiaba etica struggente e affascinante nella sua semplicità sia narrativa che come messa in scena: nella vicenda di Mavuso e Nadia riecheggiano il pathos e i temi della Tragedia Greca, come dichiara lo stesso Brook, usati per affrontare un argomento attuale e antico al contempo, ovvero la prigionia come punizione e le sue implicazioni e conseguenze.
Il carcere isola i detenuti dalla comunità; in esso le vite di individui colpevoli d’ogni sorta di reato si consumano, nella privazione della libertà come pena per atti criminali.
Ma il carcere deve esser solo punizione, senza correzione e possibilità di riscatto?
Brook e Marie-Hèlène Estienne, assistente personale dell’artista dagli anni ’70 è col tempo divenuta sua partner nel processo di creazione e scrittura delle sue opere, affermano con suggestiva forza il valore della Redenzione, che restituisce all’individuo dignità e un futuro, attraverso la parabola di Mavuso e del suo percorso di maturazione interiore e di lotta costante contro una primigenia rabbia, insita nel suo carattere e azioni.
Il peccato stesso commesso dal giovane uomo è frutto di quella rabbia, che secondo Ekzekiel lo avrebbe consumato in carcere.
Il saggio zio dona a Mavuso un nuovo inizio, ma esso avverrà soltanto dopo una durissima lotta interiore decennale; per anni il protagonista convive con la consapevolezza che l’unico ostacolo tra lui e la fuga dal suo esilio è la sua volontà d’espiare il crimine commesso.
La bellezza di The Prisoner sta nell’essenzialità come cifra stilista, tipica dei lavori di Brook, il quale ha sempre puntato a una scarnificazione della resa scenica in quanto subordinata al messaggio del testo.
Cio’ non vuol dire che lo spettacolo non sia completamente riuscito; al contrario la basilare resa formale ipnotizza lo spettatore, trascinato per poco più d’un’ora nel duro cammino di Mavuso verso la riappropriazione di se stesso.
Un’opera che parla di temi universali, senza l’arrogante presunzione di fornire risposte assolute ma che propone la visione dei suoi autori riguardo crimini e punizioni.
In tal senso la storia di Mavuso è un’allegoria come lo e il viaggio della donna, la cui necessita’ di trovare dei ragguagli riguardo la Vita la possiede fino all’incontro col detenuto speciale, della differente concezione tra Occidente e Oriente sulla ricerca delle grandi verità.
La scenografia di Philippe Vialatte e scarna come minime sono le luci di David Viola, il cui scopo principale e segnare il passaggio tra giorno e notte; la riuscita dello spettacolo e completamente affidata ai quattro protagonisti, Hiran Abeysekera, Hervé Goffings, Omar Silva, Kalieaswari Srinivasan, Hayley Carmichael, con la loro misuratissima interpretazione che emoziona e persino diverte, poiché non manca neppure l’ironia nei dialoghi a render ancor più reale e umana la storia messa in scena.
Peter Brook è uno dei maggiori esponenti del Teatro contemporaneo, e The Prisoner ne è l’ennesima riprova; tuttavia ciò che colpisce è anche l’onesta intellettuale nel riconoscere come propria pari nella stesura la sua assistente, gesto piuttosto raro nel blasonato mondo dell’Arte.
In scena fino al 20 ottobre.
Roberto Cesano