Giancarlo Sepe porta in scena presso il Teatro La Comunità, fino al 7 maggio, Washington Square (storie americane); uno spettacolo tratto dall’omonimo libro di Henry James, celebre scrittore angloamericano del tardo ‘800.
La trama è la seguente: durante secondo ottocento negli Stati Uniti, la giovane Catherine Sloper è priva di particolare acume e bellezza ma è la figlia del ricco dottor Sloper, un energico uomo che rimpiange le molte virtù defunta moglie e pare tollerare a stenti la ragazza.
La fanciulla incontra l’affascinante Morris e se n’è innamora, apparentemente, ricambiata contro il volere del padre, convinto che l’uomo sia un volgare cacciatore di dote.
Quando il dottor Sloper minaccia di diseredarla Catherine si oppone inaspettatamente alla volontà paterna e decide di sposare lo stesso Morris, che però rompe il fidanzamento.
Delusa dal padre, reo di non averla mai realmente amata né d’avere stima di lei, la donna lo allontana finchè egli muore, lasciandole soltanto una misera rendita mensile per evitare che Morris si ripresenti.
Ma Catherine ha imparato a stare da sola e quanto poco contino denaro e convenzioni sociali e non intende tornare sui propri passi.
Washington Square è un’opera squisitamente in stile Henry James per tematiche e stile narrativo- in Italia è conosciuto principalmente per Ritratto di Signora, da cui Jane Campion trasse un noto film con una talentuosa Nicole Kidman, anni fa-; capace di miscelare una critica sociale feroce e impietosa verso tutti i protagonisti e di celebrare il processo d’emancipazione femminile, attraverso l’evoluzione della figura di Catherine.
Poco importano le reali intenzioni del bel Morris; a Catherine ciò che sta a cuore è strapppare al padre un atto di fiducia e rispetto, ch’egli, perduto nel ricordo d’una moglie perfetta e figlio a sua volta d’una società maschilista e bigotta, non gli concederà mai.
Il perno dell’opera ruota intorno a tale scontro d’intenti e volontà e gli altri personaggi, l’amata zia paterna della protagonista, il fratello e la madre defunti, Morris stesso e sua sorella e infine un altro, defilato, pretendente della donna, non sono chè voci e immagini sullo sfondo d’una vicenda in cui la stessa dimora natia di Catherine è a suo modo protagonista assoluta. In Washington Square si consumano tutti gli eventi fondamentali di Catherine e di suo padre, dai classici balli dell’alta società ad alcuni funerali.
Lo spazio fisico è un personaggio metatestuale, pregno di significati e metafora stessa della ricchezza materiale del dottor Sloper.
Giancarlo Sepe ha adattato il testo di James in maniera brillante e suggestiva: la storia è portata in scena attraverso una serie di quadri scenici, in cui recitazione in prosa, teatro-danza, canto si danno continuamente cambio.
Il tutto rigorosamente in lingua inglese.
Sepe ha lanciato una sfida vinta con la realizzazione di tale spettacolo, ovvero riuscire a incantare un pubblico non anglofono nella lingua dell’autore del testo; gli attori scandiscono con cura ogni singola parola, riuscendo a riprodurre un inglese fluido e non artificioso, senza perdere in concentrazione e intensità espressiva.
Il lavoro dietro a tale produzione è alquanto ambizioso e interessante, vista sia la pregevolezza d’ogni aspetto teatrale, dalla regia alla scenografia, luci, costumi, coreografie interpretazioni ché l’ispirazione stessa di Sepe.
Il regista rilegge, infatti, Henry James, penetrando la materia stessa della sua poetica e restituendo alle parole e alle trame dello scrittore una convincente dimensione visiva.
Ogni quadro è un trionfo di trovate teatrali che spiazzano e avvincono il pubblico, grazie anche alle musiche di Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team e all’ottimo lavoro alle luci di Guido Pizzuti.
Gli attori si muovono in scena con grazia e talento; recitano, cantano e danno vita a perfomance di teatro danza frutto d’un lavoro duro e costante, visto quanto l’iconicità sia un elemento preponderante nella piéce.
Sepe, memore della propria esperienza come regista di lirica, utilizza il melodramma come connotazione potente nella messa in scena del dramma di Catherine, omaggiando con il proprio stile visivo il Cinema del Muto, dalle interpretazioni di Lillian Gish per Griffith sino ai maestri del nostro cinema degli anni pre-sonoro.
Un plauso in particolare, in tal senso, all’interpretazione di Adele Tirante- la zia di Catherine- il cui aspetto ricorda più degli altri personaggi quello d’una diva del Muto assieme alle sue movenze e a una voce straordinaria.
Tuttti gli interpreti sono, in ogni caso, da applaudire in quanto protagonisti di perfomance impegnative e riuscite, in un lavoro di voce e corpo piuttosto forte e complesso, oltre alla fatica di dover recitare in un altro idioma.
Un’opera colta, elegante che emoziona lo spettatore e lo intriga, sorprendendolo di continuo, portata in scena in un piccolo, ma accogliente, teatro nel cuore di Trastevere che, dall’inizio degli anni ’70 dello scorso secolo, ha avviato un percorso di produzioni e sperimentazione del medium teatrale, dimostrando quanto talento e impegno covino in realtà più piccole e meno blasonate dei grandi teatri.
In scena dal giovedì alla domenica, in tal caso alle ore 18.
Roberto Cesano